Il travaglio di Travaglio ora (s)Canton(a)

Il travaglio di Travaglio ora (s)Canton(a)

La settimana passata, una trasmissione televisiva raccoglieva i commenti, dei partecipanti, alla sentenza della Corte di Appello di Milano, riformatrice in senso assolutorio della sentenza del Tribunale di Milano, che aveva condannato S. Berlusconi alla pena di sette anni di reclusione ( e ad altro) per delitti di concussione, ex art 317 c.p. , e di atti sessuali a pagamento con minorenne ex art 600 bis.2 c.p. .
Un commentatore era “Formigli”, che (con fare dimesso, alimentato da una barbetta pitocca), enunciava la necessità della distinzione del piano giudiziario, della vicenda, da quello morale, ed aggiungeva che, la assoluzione nel primo non comportava la assoluzione nel secondo, che, a suo avviso, continuava a condannare il processato.
Distinzione astrattamente irreprensibile, che tuttavia, concretamente, non coglieva che, il secondo piano, della vicenda, era stato sostenuto dal primo; che, anzi, quello si era avvalso di questo, per mantenersi, in quattro anni di cronaca “giudiziaria”, del processo, parassitata dal quella sulla immoralità del processato.
Non coglieva, per ciò, “Formigli” (d’altronde, visibilmente incongruo, nel tratto, al ruolo di commentatore), che, caduto il primo piano, cadeva anche il secondo.
Un altro commentatore era un distinto signore, dal portamento intellettuale, sobrio e contenuto, stretto ai fatti, che congetturava cautamente sugli effetti politici (della politica partitica, di cui il processato è tra i maggiori esponenti) della sentenza assolutoria: se avrebbe rafforzato o indebolito la compagine berlusconiana, e l’intesa tra essa e quella renziana, sulle “riforme” della Costituzione. Era, comunque, piacevole, non solo comparativamente, vederlo e udirlo.
Un altro commentatore era G. Ferrara (dal faccione inopinatamente assomigliabile a quello di F. Engels), che sottolineava l’evidenza e l’indecenza dell’uso della cronaca “giudiziaria” quale escavatrice, a fine di lotta politica, della immoralità (non solo sessuale), del processato, benché inaccessibile, perché personale e privata.
Un altro commentatore era il conduttore medesimo della trasmissione, Mentana, che teneva ad illustrare, ed a porre a tema, la palese inconferenza e ininfluenza e inattinenza, della cronaca della immoralità privata, al piano giudiziario, e, quindi, teneva a porre la necessità della ricerca delle sue cause e ragioni. Sostanzialmente in sintonia con Ferrara, che, tuttavia, non lo capiva, e contestava e sbraitava.
Un altro commentatore, partecipante dalla Sicilia (quindi, onorificamente “fuori studio”, al pari di Ferrara d’altronde), era M. Travaglio, l’(in)esperto (ma “a sua insaputa” ed a mortificazione della sua condizione esistenziale) di diritto penale, che vantava di potere il commento giuridico della sentenza assolutoria ( a differenza, sottolineava litigiosamente, di altro partecipante, Porro, “esperto di economia”, e, quindi, impotente ad esso).
Ebbene, cotanto “esperto”, a commento della sentenza assolutoria dalla accusa di concussione con la formula “perché il fatto non sussiste”, adduceva che, ciò, era derivato dalla modifica, in corso di processo, della disposizione sulla concussione, che aveva perso la concussione per induzione conservando quella per costrizione (con ciò mostrando, forse, l’”esperto”, di opinare che, quando “il fatto” non sia più previsto, o sia stato diversamente previsto, dalla legge, come reato, esso “non sussiste”…opinione, tuttavia, inesperta finanche dello ABC, delle formule conclusive del processo).
Nessuno, peraltro, gli obiettava, che, se così fosse stato, la assoluzione avrebbe dovuto dire “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” (formula, conclusiva, del fatto mai previsto e del fatto non più previsto, come reato). Nessuno tranne, forse, “l’economista” Porro; in una delle sue (non infrequenti altrove) folgorazioni intuitive, notante che, se fosse stata corretta la spiegazione di Travaglio, sarebbe stato inspiegabile che, il Procuratore Generale, avesse chiesto la conferma della sentenza di condanna, dovendo chiedere la assoluzione con la formula predetta. Alla obiezione, Travaglio non dava risposta (pur possibile, giacche’, quell’accusatore, avrebbe potuto ritenere immutata la norma specifica, incriminatrice del fatto specifico, malgrado la sua modificazione legislativa), farfugliava incomprensibilmente (rafforzando il sospetto, sopra alluso, della inesperienza finanche dello ABC, sulle formule conclusive del processo): si dileguava, “il giurista” alla obiezione del “l’economista”.
Tantomeno, alcuno (ovviamente, giacché, per lo più dilettanti od orecchianti, o semiesperti, del discorso giuridico, non giuristi, partecipano a siffatte “trasmissioni”, oggettivamente preposte alla disinformazione giuridica ad effetto sociopolitico, benché talora inconsapevolmente) gli obiettava, “in diritto”, ben altro.
Che la sentenza di condanna, oggi riformata, fu emessa un anno dopo la legge “Severino”, scorporatrice della induzione dalla concussione conservante la costrizione (ad unica “fattispecie”). Che, quindi, essa, ovviamente, ne seppe e ne tenne conto. Tanto ne seppe e ne tenne conto che le tre “giudichesse” (è suggerimento linguistico per “la boldrini”, da un po’ alla disperata ricerca dei femminili dei maschili, senza mai sospettare che, il genere dei nomi, nella opulenta lingua italiana, possa essere, anche, neutro; il suggerimento, d’altronde, per chi avesse nozione dei “Giudicati” sardi, sarebbe spontaneo, perché “giudichesse” furono dette Adelasia; Eleonora etc) del Tribunale di Milano (invero somiglianti, per visibile angustia affettiva, più alla Parca , del mito, Atropo, quella che tagliava i fili della vita degli umani, che alle prodighe giudichesse sarde), perpetrarono il maggiore abuso (giuridico giudiziario sociale etico politico), allorché, conclusa l’istruzione e la discussione dibattimentali, giunta la fase della deliberazione (per cui il giudice può soltanto assolvere o condannare, prosciogliere per cause non attinenti al merito, o “rimettere il processo in istruttoria” e in discussione, o “rimettere gli atti al PM” perché modifichi il fatto inizialmente contestato che sia risultato, in quella fase, “diverso”), nel pieno d’essa, le tre, avvedutesi che, l’accusa che avevano tra le mani, di “concussione per induzione” quale contestata dal PM, sopraggiunta “la Severino”, avrebbe dovuto essere subito rimossa, (se non lo fosse stata “per insussistenza materiale del fatto”) mediante assoluzione “perché il fatto non era (più) previsto dalla legge come reato (e, in effetti, la induzione del ”la Severino” era tutt’altro reato rispetto a quella già appartenente alla “concussione”), avvedutesi di ciò, dicevasi, con piena infedeltà ai codici penali e costituzionale, all’etica ed alla umanità giuridica, con trasgressività completamente negativa negativa della funzione giurisdizionale (di dichiarazione del diritto) espletata, e, dunque, con aggressività contraria ad ogni legge e non permessa da alcuna legge (ad essere benevolenti, con “usurpazione di potere legislativo” per il potere di creazione della legge), le tre, dicevasi, abbattuto ogni limite, modificarono l’imputazione, la mutarono in “concussione per costrizione”, poiché certamente prevista dalla legge come reato, la dichiararono sussistente e la condannarono – con sei anni e quattro mesi di reclusione, mai visti prima per quel reato e la sua entità fattuale, nella giurisprudenza del codice vigente, salvo errore, tanto che, perfino il giornale della associazione nazionale dei magistrati penali e delle forze dell’ordine, “il fatto quotidiano” ( nel quale Travaglio è primo incursore), ne ha rilevato l’eccesso quantitativo (non qualitativo, sia chiaro).
Con ciò ostentando, le tre, che ll diritto, sostanziale e processuale, non dimentica di originare esclusivamente dalla potenza materiale e sociopolitica che, organizzandosi, acquisisce stato e diviene Stato (e dominio e imperio in quanto tale); non lo dimentica, se all’occorrenza, riprende la carica genetica e la rovescia come pura forza (in difesa o in offesa del prescelto), erompendo come diritto costituendo, o (come in specie) dirompendo nel diritto costituito (la vera sorpresa della istruttiva ed eloquente vicenda, è che il diritto costituito abbia potuto avere un sussulto difensivo ed imporsi con la sentenza assolutoria, essendo oramai, dappertutto e per tutti (eccetti i suoi gestori, e il loro ambito) morente (se non morto).
Le tre “giudichesse”…
Nessuno, ovviamente (per quanto sopra osservato), lo fa notare, all’ (in) esperto di diritto, tanto meno, poiché tale, può notarlo da sé, mentre, stragonfio dell’io con tanta tenacia nutrito e contraffatto, dà del “somaro” e dell’ “ignorante” a G Ferrara (che, tuttavia, pare avere intuito giuridicamente molto più di lui).
Si apprende ora che, il primo incursore del giornale suddetto, forse riuditosi “in differita” e, verosimilmente, preoccupato della flagranza della propria (in)esperienza, ha invocato “Cantone”, recente plenipotenziario sulla “corruzione” (dall’acre accento napoletano, invero), che sarebbe prontamente accorso, ad asseverare la farneticazione sulla sentenza assolutoria (a quanto si dice..).
Diaz

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