Il fatto non costituisce reato, ha detto la sentenza che ha assolto il sindaco di Roma.
Ciò implica tecnicamente che il fatto fu, ma che gli mancò qualcosa per costituire reato. E, secondo cronache, gli sarebbe mancata la coscienza e la volontà, nell’autore, di mentire, sarebbe mancato “il dolo”.
Ma quale fatto, di reato, sarebbe stato?
Quello di falsità ideologica in atto pubblico commessa da pubblico ufficiale, di cui all’art 479 cod pen..
Che si ha quando il p.u., munito del potere (art. 2699 cod. civ.) appositamente conferitogli dalla legge (ed esercitabile anche a richiesta di parte, come il notaio che sia chiamato a raccogliere un testamento od una vendita), attestando per dargli pubblica fede (dinanzi alla collettività) che ha fatto qualcosa (si è recato nella abitazione del testatore), ha ricevuto qualcosa (la dichiarazione del testatore), ha constatato qualcosa (che il testatore giaceva nel suo letto affaticato ma lucido ed in grado di esprimersi), che in sua presenza è avvenuto qualcosa (sono comparsi parenti del testatore offrentisi a testimoni); che ciò è accaduto in precisi ora mese giorno anno e luogo:
(quando il p.u., dicevasi,ciò riferendo)attesti il falso (come si vede negli esempi, il rapporto tra attestazione e fatto è organico, non ha margini di sorta, affinché, messo eventualmente a confronto con la realtà esterna, sia possibile dirne se è vero o falso).
Allora e solo allora si ha falsità ideologica del pubblico ufficiale in atto pubblico.
D’altronde è chiarissimo in tal senso l’art 479 cp:
“Il pubblico ufficiale che ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito…”
Senonché, sempre per cronache:
– Raggi, pubblico ufficiale quale sindaco di Roma e così stipulante un contratto per la dirigenza comunale;
– in occasione del controllo preventivo di legittimità del contratto da Anac (autoiritanazionaleanticorruzione) invitata a darne informazioni (nella qualità di contraente ripetesi) presentando una “memoria” ;
– ne avrebbe dato di “non veritiere” (si riporta la dizione in tema usata dall’art 213 Codice Anac) .
Ora:
già la “memoria” nei suoi termini, discrezionalmente narrativi o ipotetici o condizionali o valutativi (termini per ciò non giudicabili come veri o falsi, al raffronto immediato con la realtà esterna) è informativa, non attestativa.
Comunque:
– se è un documento soggettivamente pubblico non è certo un atto pubblico (che manifesta e determina la volontà funzionale del pubblico ufficiale);
– se contiene una informazione non contiene una attestazione;
– se è interna a procedimento amministrativo, da questo provocata e in funzione di questo emessa, non è atto pubblico attestativo invece esterno ad ogni procedimento che non sia il proprio :
perché indipendentemente veritativo, tale rispetto alla funzione pubblica assegnatagli in art 2699 cc, 479 cp, e col valore probatorio erga omnes di cui a queste disposizioni;
– se il suo redattore era un pubblico ufficiale, non lo era quale attestatore pubblico ma quale contraente pubblico chiamato a dare conto del contratto;
– d’altronde la memoria ciò faceva esplicitamente: il ruolo di R. Marra fu «di mera pedissequa esecuzione delle determinazioni da me assunte, senza alcuna partecipazione alle fasi istruttorie, di valutazione e decisionali»;
– essa diceva esclusivamente di posizioni interne al pubblico ufficiale, non di fatti (o atti) a lui esterni (oggetto esclusivo della “attestazione”). Tanto che la smentita, la prova della falsità, il magistrato requirente la affiderà ad un argomento indiziario, non alla rappresentazione della verità fattuale: (sempre secondo cronache) “se la sindaca avesse detto la verità riconoscendo che Raffaele Marra aveva ricoperto un ruolo decisivo nella scelta del fratello, l’apertura di un procedimento penale a suo carico sarebbe stata assai probabile. E lei era consapevole che in casi di iscrizione a modello 21 (ovvero come indagata) avrebbe rischiato di perdere il posto perché era quanto prevedeva il “Codice Etico”. E’ questo il movente della sua bugia”.
Ed un altro magistrato in veste di testimone della accusa: “Sicuramente Marra ha avuto un’influenza nel nominare il fratello Renato alla Direzione di turismo, la sua di certo non era una mera attività compilativa” (in proposito: a parte che “un’influenza” sarebbe posizione interiore del p.u. : essa è attestabile positivamente o negativamente?).
Quindi:
non vi fu falsità ideologica del pubblico ufficiale (quale inverso esatto della verità certa).
Se qualcosa di “non veritiero” fosse stato emesso, manteneva la rilevanza nell’ambito del procedimento Anac il cui Codice, peraltro, per prevenirla, la sanziona con ammende (art 213), senza mai richiamare il codice penale (benché è uso che sia fatto ove sia voluto).
E a proposito:
è per ciò che la difesa del Sindaco, sempre stando alle cronache, avrebbe sollecitato la assoluzione “perché il fatto non sussiste”?
E’ più probabile che lo abbia fatto escludendo la falsità del contenuto della memoria. Altrimenti, visto quanto sopra, avrebbe sollecitato assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato (veridica o no la memoria, ciò la legge non lo considera reato).
Ma così stando le cose, il dr Ielo (zelante paggio di Di Pietro anni addietro in Mani Pulite) non avrebbe dovuto accusare Raggi di falsità ideologica in atto pubblico.
Gli va comunque riconosciuto che la imperizia della giurisprudenza in materia di delitti contro la fede pubblica, talora involontaria, talaltra diretta ad altro fine che la retta interpretazione della legge (come quando un reato di falso a minor pena e minor tempo di prescrizione è rimpiazzato da altro a maggior pena e maggior tempo di prescrizione) ha raggiunto livelli da “emergenza democratica” (di sua mano sono stati distrutti funzione e ruolo dell’atto pubblico fidefacente e del suo attore: nuclei della certezza del traffico giuridico).
Ciò gli va riconosciuto pur se non gli fosse perdonato che, sempre per cronache, in requisitoria avrebbe detto di disporre “di una messa di prove a carico”. Messa o messe?
E se questo è stato, perché Di Maio ha voluto insultare tanto cocentemente il giornalismo da dare dello sciacallo a se stesso (dicono sia giornalista), piuttosto che insultare il dr Ielo (questo rilievo lo ha fatto perfino E. Macaluso)?
Domanda retorica ….
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