1.Il Csm (consiglio superiore della magistratura) non ha confermato l’incarico di procuratore di Arezzo al dr. Roberto Rossi, a giudizio per essersi assegnato ed avere trattato il fascicolo penale sul fallimento di Banca Etruria, pur essendo consulente al Dipartimento affari giuridici e legislativi presso la presidenza del Consiglio dei Ministri (allora Renzi), ministro delle Riforme M. E. Boschi, indagato (in quel processo o in altro limitrofo) il suo genitore Pier Luigi, vicepresidente della Banca.
Secondo la Commissione (relatore Davigo), Rossi avrebbe compromesso «il requisito dell’indipendenza da impropri condizionamenti», almeno «sotto il profilo dell’immagine».
E ciò per aver proseguito l’incarico extragiudiziario di consulenza che gli era stato conferito con il governo Letta e confermato dal successivo esecutivo, anche dopo l’apertura dell’indagine suddetta (cronaca di GM Jacobazzi su IL Dubbio 23 10 19).
2. La Consiliatura precedente aveva escluso ogni irregolarità nella trattazione del fascicolo e nei rapporti con i Boschi.
«Allo stato non ci sono gli estremi per l’apertura di una pratica per incompatibilità ambientale o funzionale: abbiamo ascoltato un magistrato sereno che dà prova di imparzialità», disse verso la fine del 2015 l’allora presidente della Prima commissione del Csm, il laico montiano Renato Balduzzi.
Secondo costui, Rossi aveva risposto ‘ in modo convincente ed esauriente’ a tutte le domande, «manifestando la disponibilità a chiarire tutti gli aspetti sia sull’incarico di consulenza sia sulle indagini in essere. Ed anche manifestando serenità, imparzialità ed indipendenza rispetto ai procedimenti di cui si occupa» (ancora cronaca Jacobazzi).
3. Rossi in una memoria del procedimento (sub 1) aveva eccepito «clamoroso e sconcertante travisamento dei fatti», perché avrebbe lasciato il Dipartimento 42 giorni (!) prima del fallimento della Banca; non vi sarebbe stata “contemporaneita” (verosimilmente non intesa, da lui, come contestualità…ndr ).
4. E comunque egli avrebbe riscosso la solidarietà dei colleghi dell’ufficio e dell’avvocatura aretina. Per la quale Piero Melani Graverini (oggi consigliere del Cnf), ha fatto notare come «sia difficile trovare uno con le sue qualità: con lui la porta è sempre aperta, il confronto costante. Cosa può sperare di meglio un avvocato?» (ancora cronaca Jacobazzi).
ORBENE
5. La Commissione ha addebitato al Procuratore di avere “proseguito” nell’incarico governativo anche durante il processo.
Non di avere assunto l’incarico governativo, da Procuratore…
5.1 La precedente Commissione aveva financo rilevato “serenità imparzialità indipendenza”, nell’esercizio del doppio incarico, governativo e magistratuale….
Tanto meno aveva avuto da ridire sulla assunzione del doppio incarico….
5.2 Il personale magistratuale e amministrativo del Tribunale di Arezzo ha plaudito al doppio incarico ed al modo del suo esercizio….
E quindi, come quella Commissione, non ha avuto da ridire sulla assunzione del doppio incarico…
5.3 Il portavoce del Foro aretino ha fatto altrettanto, e anzi, servilmente, ha esultato chè “la porta (del procuratore ndr ) sia sempre aperta”, all’avvocato (dopo avervi bussato, in ansiosa attesa del “passi”? ndr ). E financo (pago se non tronfio della sottomissione), che “l’avvocato non potrebbe sperare di meglio….”
E quindi, nemmeno il Foro ha avuto da ridire sul doppio incarico….
5.4 E ovviamente non ha avuto da ridire “la politica”, che l’incarico ha deliberatamente conferito, in specie quella del Governo Letta (segretario del PD Renzi, “sottosegretario” ME Boschi), poi confermata dal Governo Renzi (come detto)…
6. Ma se è comprensibile che la commistione di potere giudiziario e potere politico non disturbi la magistratura, che con essa estende il proprio a quello altrui, particolarmente al potere legislativo – oggi pressochè tutta la legislazione penale, gran parte di quella civile, anche per la qualità degli interessi che tutela (quasi mai dell’utenza, quasi sempre della Istituzione inquirente e giudicante), ha esclusiva origine nelle volontà della magistratura.).
6.1 E se è comprensibile che non disturbi la politica la quale, incapace di autonomia (e autocoscienza) per insufficienza culturale, cerca referenza ( e riferimento) nella magistratura (oltre che “competenza”, rifiutata quella della avvocatura e della accademia, oviamente perché prive, queste, del potere di -illimitata- normatività sociale).
Comprensibile tutto ciò, si diceva
6.2 E’ incomprensibile, anzi inammissibile, che, la commistione, non disturbi l’avvocatura.
La quale, istituzionalmente e socialmente (tanto che è “elettiva”) preposta alla tutela dell’interesse sociale generale o diffuso, quindi più che mai interessata a combatterla (perché anticamera della confusione dei poteri costituzionali, che solo la separazione relativizza in estensione, ne previene la assolutizzazione), tuttavia non lo fa.
6.3 E’ inaccettabile cioè che la avvocatura non punti, dritta, alla esclusione della magistratura da qualunque ambio funzionale non sia il suo (iniziando col rimuovere norme -di vario rango- e prassi che eventualmente giustifichino l’intrusione).
Che essa non abbia, a primo obbiettivo sociopolitico, che la “indipendenza da ogni altro potere”, della magistratura, non implichi dipendenza di ogni altro potere da essa.
Pietro Diaz