Messa così la formula, da un lato evoca premurose generosità, verso le imprese prostrate (se non distrutte) dalla lotta (governativa) al coronavirus. Anche perché, i prestiti, applicherebbero modici interessi e lenti tempi di rimborso.
Da altro defila ( e scongiura) altri fattori, della prestazione, ad esempio per risarcimento o per indennizzo (ciò che compensa una diminuzione patrimoniale) di un danno.
Altri fattori e relative implicazioni semantiche (oltre che giuridiche:
è il prestatore il debitore delle imprese, non queste! Egli è il responsabile del danno da esse patito, l’obbligato a risarcirlo o indennizzarlo!
E in effetti le cose non stanno come la formula vorrebbe.
Si supponga che il fermo delle imprese sia stato imposto dalla lotta al virus, d’altronde indetta con dichiarazione dello “stato di emergenza” (31 01 20) a norma del Codice della protezione civile (D.lgs n.1 2018).
E che la misura sia stata proporzionata alla pericolosità del virus, e adeguata al suo contenimento o annientamento.
Ebbene, chi in “ stato di necessità” abbia inferto danno (inteso come diminuzione economica o come distruzione), indennizza il danneggiato (art 2045 codice civile).
Chiunque, fosse pure un organo pubblico (governo o suo presidente con i suoi dpcm).
Sono chiare, in proposito, le disposizioni in artt 24, 28, 113 Costituzione. Ma l’assunto è desumibile anche dal principio di solidarietà sociale in art 2 cost.
Oppure
Si supponga che il danno sia stato inferto senza necessità o (ed è equivalente) lo sia stato oltre i limiti della necessità.
La prima ipotesi è suggerita dall’incompletezza del fermo delle imprese italiane, molte delle quali proseguirono e delle quali (ovviamente) non fu accertato che fossero a rischio di contagio virale (attivo e passivo).Come è suggerita dall’assenza del fermo delle imprese tedesche, ove fu accertato che non fossero a rischio di contagio virale.
Nell’ipotesi, cioè, il danno sarebbe stato inferto senza necessità.
La seconda ipotesi è suggerita dal fermo delle imprese della Sardegna e della Sicilia, dove, al momento della sua applicazione ( 11 marzo ‘ 20), era stato registrato un migliaio di “positivi” al covid 19 (oggi non è più del doppio) su settemilioni di abitanti. Una quantità, quindi, agevolmente controllabile nei movimenti, isolabile dal resto della popolazione. A preservazione della quale, inoltre, sarebbero stati testabili (facilmente), e trattabili conseguentemente, coloro che, nelle isole, entrassero o uscissero.
Cioè, sebbene in alcun modo l’apertura delle imprese isolane ponesse rischio di contagio virale, oltre il limite della necessità il fermo fu esteso anche ad esse.
Ebbene
In queste ipotesi, chi avesse disposto il fermo, lo avrebbe fatto inopportunamente, inutilitariamente, illecitamente (questa, in genere, è l’evoluzione economica e sociale dell’illecito giuridico).
Ed allora il danno che alle imprese fosse stato inferto sarebbe ingiusto (contrario al diritto). Anche perchè ingiusto sarebbe stato l’inferimento (dicesi “ llegittimo” l’inferimento da organi pubblici nella attività propria).
Inferimento che, se fosse stato (anche solo) colposo (tale perché, sebbene involontario, prevedibile e prevenibile) – non occorrendo che fosse doloso- , darebbe alle imprese diritto al risarcimento del danno, investendo del relativo obbligo l’inferitore
In conclusione
Le imprese che respingessero il prestito, eccependone l’indebitezza (oltre l’immoralità) e svelandone la dissimulatività (e il bluff!) avrebbero sacrosante ragioni giuridiche (alle disposizioni indicate, adde art 41 Cost, sulla libertà della iniziativa economica privata- si nota incidentalmente che tra i limiti imponibili ad essa, non compare la salute né la sanità, per contro cavalcate dai dpcm! -. Adde etiam art.42 cost., che garantisce libertà ed esercizio della proprietà privata).
pietro diaz