SALVINI E IL “DECRETO SICUREZZA BIS”: PERSONALIZZAZIONE DELLA FUNZIONE LEGISLATIVA FINO ALLA ACQUISIZIONE DELLA IMPUNITA PER REITA’ PASSATE E FUTURE

“DISPOSIZIONI URGENTI IN MATERIA DI CONTRASTO ALL’IMMIGRAZIONE ILLEGALE E DI ORDINE E SICUREZZA PUBBLICA.
Art. 2: (Modifiche al codice della navigazione) 1. All’articolo 83 del codice della navigazione, approvato con regio decreto 30 marzo 1942, n. 327, sono apportate le seguenti modifiche: a) ………………b) dopo il primo comma è inserito il seguente: “Il Ministro dell’interno può limitare o vietare il transito e la sosta di navi nel mare territoriale per motivi di ordine e sicurezza pubblica ovvero quando si concretizzano le condizioni, limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti, di cui all’articolo 19, comma 2, lettera g), della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare, con allegati e atto finale, fatta a Montego Bay il 10 dicembre 1982, ratificata dalla legge 2 dicembre 1994, n. 689. Dei provvedimenti adottati sono informati il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministro della difesa.”.
Che cosa significa?
1. che con “decreto legge”, di un Consiglio dei Ministri costituzionalmente dissestato (art 95 ss):
-poiché dotato di tre presidenti (Di Maio, Salvini, Conte: detti, i primi due, ingannevolmente, “vicepresidenti” ).
– poiché quindi non deliberante in Collegio presieduto dal terzo. ma deliberante per triumviri, da triumvirato;
– per di più, soggiacendo alla prepotenza di uno dei tre, Salvini, deliberante per unumviro, da dittatura;
1.1 con siffatto decreto, dicevasi, Salvini:
-ha tolto brutalmente al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ed al Ministro della Difesa, attribuzioni e competenze in materia di transito e sosta di navi nel mare territoriale;
– le ha assegnate a sé stesso Ministro dell’Interno, lasciando a quelli non altro che la prerogativa di essere “informati” delle deliberazioni del subentrante (per ciò la notizia, diffusa da Salvini ieri sera, dopo il fermo, da lui attuato, della nave Sea Watch, che quei Ministri lo avrebbero “controfirmato”, è falsa e fraudolenta: hanno firmato di avere ricevuto da lui informazione del fermo, tuttavia intoccabile da loro..);
– assegnate al ministro dell’Interno quale ministro di Polizia, resa quindi, la materia, “di Polizia” per “ordine e sicurezza pubblica” e per “contrasto all’immigrazione illegale” (vd di fatti il titolo, sopra, del decreto);
– trasformatala quindi, da materia civile, del ministero infrastrutture e trasporti; da materia militare, del ministero della difesa (difesa da eventuale offesa militare…), in materia di Polizia. La sua, ove si è dato la facoltà di sguazzare a piacimento, poiché nessun limite ha posto all’esercizio del potere, avendolo subordinato a “motivi di ordine e di sicurezza pubblica”:
ciancia per gonzi inafferrabile impalpabile manipolabile quanto aggradi ingiudicabile, trappola dello Stato di Polizia avverso lo Stato di Diritto;
1.2 con siffatto decreto, dicevasi, Salvini si è dato potere esclusivo in materia di transito e sosta (nel mare territoriale) dei natanti con a bordo migranti, ovviamente “clandestini” (come da suo razzismo, biologico ma anche sociale economico religioso politico, interno ed estero). Cioè i poveri i derelitti i perseguitati i pericolanti i dannati della terra (che il dio dei suoi rosarii e “crocesegni” avrebbe incredibilmente posto nella sue mani …).
1.2.1 e con esso perpetrando illecitamente una duplice personalizzazione, attiva e passiva, della funzione legislativa:
la attribuzione a sé di una materia naturalmente altrui ( o anche altrui), la sottoposizione ad essa di una sola classe di persone, l’immigrante clandestino. Nel quadro manifesto della reificazione giuridica, attiva e passiva, del suo discriminazionismo (sebbene incondiviso dal divieto di legiferare ad personam et ad personas, fieramente e sdegnosamente espresso nella disposizione costituzionale in art 3.1).
Ma solo di ciò, seppure troppo, si sarebbe impossessato quel predatore insaziabile di poteri fattuali e giuridici che e’ costui?
2. E’ noto che la materia gli ha inflitto vari patemi giudiziari, lo ha sottoposto a processi per sequestro plurimo di persona, non ancora definiti (malgrado contrarie apparenze). E che nella materia ha una voglia e un bisogno matti di tornare a delinquere, ad orgia di un ego reclamante crudeltà e sevizie ed eccidii (particolarmente) sull’umanità inerme.
Ebbene, assegnatosi col decreto il potere, che non aveva, di impartire ordini in materia di transito e di sosta delle navi con immigranti:
i reati passati, ipotizzati anche per mancanza, nel reo, del potere giuridico di fermo (senza approdo e sbarco) dei natanti con immigranti, potrebbero essere divenuti non punibili perché “ scriminati”. Scriminati da una norma scriminante (quella che ha dato il potere suddetto, esercitabile impunibilmente anche se sfociante, appunto, nel sequestro degli occupanti o in altro reato : art 51 cod.pen.). Norma certo posteriore al reato, ma retroagente fino ad esso perché favorevole al reo (art 2.4 cod.pen.).
Mentre i delitti futuri potyrebbero essere scriminati a priori, in forza di quella norma, perché anteriore ad essi.
2.1 E così, la ferina libidine di costui, e dei suoi consiglieri giuridici e fan e lacchè elettorali, di acquisire potere di vita e di morte sugli indifesi ed ultimi della terra, ha finalmente avuto sfogo.
Tuttavia, non è inipotizzabile che, i consiglieri, se avessero visto giusto, non abbiano visto tutto.
Ma di ciò ora non si può neanche accennare….
Pietro Diaz

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NON C’E’ DI CHE RIDERE: BORGHI E SALVINI NON SONO SOLO TOT0’ E PEPPINO

Gli esilaranti personaggi della commedia cinematografica dei falsificatori di banconote da lire diecimila (che avrebbero speso per scacciare la fame), i quali agivano nottetempo dal “Tipografo LoTurco” (che impartiva ordini da chirurgo: alcool..! alcool..), appendevano le banconote ad un filo stenditoio finché asciugassero, e poi tentavano goffamente di spacciarle, guardinghi diffidenti.
1. Borghi e Salvini gli somigliano nel (progettare di) fare altrettanto, ed in modo altrettanto comico, per la completa inadeguatezza al compito di un Borghi le cui smodate sonorità vocali, del parlare normale, suppongono provenienze da cavità craniche assolute. O di un Salvini la cui brutalità mentale è finemente istoriata nel ghigno invariabilmente plastificato, oltre che nell’eloquio stabilmente surreale.
Anzi in modo più comico, perché mentre i comici della finzione paiono consapevoli della delittuosità dell’opera, e di fatti agiscono segretamente, quelli della realtà ne paiono inconsapevoli.
1.1 Se si appresterebbero a contraffare apertamente (la funzione di moneta di) banconote che hanno denominato “minibot”, giacche’ di piccolo taglio non produttive di interessi non scadenti, denaro ad ogni effetto che emetterebbe (si suppone) il ministero dell’economia quale mezzo di pagamento di debiti dello Stato verso fornitori; ma anche di debiti verso lo Stato; e, insomma, quale denaro via via astratto dal rapporto genetico, e polifungente nella interazione economica.
Se cioè batterebbero moneta per sdebitare lo Stato della somma di circa 75miliardi di euro verso imprese, con la prospettiva di estenderne il compito ad altri sdebitamenti dello Stato (verso impiegati pubblici pensionati e via estendendo); o verso lo Stato.
Se lo farebbero privi del potere giuridico relativo, poiché nella Unione Europea cui il loro Stato appartiene, solo la sua Banca, “Centrale”, potrebbe.
Se lo farebbero, quindi, in violazione patente (oltre che degli apparati normativi di quella Unione) della legge in art 453 del codice penale (che punisce la contraffazione di monete con la reclusione fino a dodici anni).
Se lo farebbero obbligando (o istigando) a commettere delitto, di acquisto detenzione spendita o messa in circolazione d’esse, puniti dalla legge in art 455 del codice (con reclusione ridotta rispetto alla precedente), coloro che fossero destinatari dei pagamenti o a loro volta autori d’essi.
In una ostinazione circolare di delinquenza nummaria, che soltanto alla completa inadeguatezza al reale dei due potrebbe sfuggire.
1.2 Quindi, decisamente più comici, questi attori, di quelli (sebbene il celebre duo De Curtis-De Filippo, abbia fatto sbellicare il Paese dalle risa).
Ma qui finiscono le differenze nelle somiglianze, e qui inizia la abissale differenza sociopolitica delle gesta di questi dal gesto di quelli, ove si valuti se abbiano senso strategico e quale. E, prima, si valuti se covino fin dall’origine intenti di cospirazione politica.
2. Indipendentemente dalla loro delittuosità, esse muovono più incisivamente di altre macchinazioni, del gialloverdismo di oggi e di ieri, a recidere dagli Stati della UE l’italiano.
Vulnerano la prerogativa esclusiva del conio della moneta e contaminano questa pesantemente.
Dichiarando di farlo per pagare debiti dello Stato ammettono insolvibilità e insolvenza.
Ammettendole suscitano allarme fra i finanziatori dello Stato, il loro recesso dall’ulteriore finanziamento e la esazione coattiva del pregresso.
Suscitano quindi illiquidità monetaria dello Stato e bisogno di conio di moneta propria.
In conseguenza, esodo dello Stato dalla moneta e dal sistema giuspolitico europei.
In conseguenza, acquisizione di ogni sovranità dopo quella monetaria, concentrazione oligocratica e autocratica d’essa (sebbene per Costituzione appartenga esclusivamente al Popolo).
Quindi fascistizzazione e nazionalizzazione della sovranità quale sua preparazione al controllo e alla repressione di tutto quanto ne dissentisse le si opponesse le si ribellasse la combattesse materialmente politicamente ideologicamente culturalmente.
2.1 Sequenze e conseguenze, quelle esposte, tanto più immaginabili, quanto più probabile il disastro socioeconomico del Paese e la reazione popolare ad esso.
3. Congetturale?
Certo.
Ma che il fasciorazzista incontrovertibile (già per il ghigno subumano) Salvini sia il ministro di polizia, detenga il potere di Forza e di Dictatura d’ordine pubblico e lo eserciti legalmente e illegalmente (indifferentemente), come il suo recente passato di nomoclasta (distruttore di norme), antinomo (oppositore a norme), anarchico (senza norme e principii), autocrate (trae solo da sé i contenuti del potere che esercita), eversore solipsistico (che maniacalmente non conosce altro da sé) di qualunque regola ostacoli o intralci il suo cammino:
conferma la congettura.
Pietro Diaz

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ALABAMA ANTIABORTO ANTIUOMO

1.Durante la monarchia fascista italiana (codice penale 1930, artt 545 ss), chiunque “cagiona(sse) “l’aborto di una donna”” senza il suo consenso era passibile di reclusione fino a dodici anni. Col suo consenso fino a cinque anni. Per “l’esercente la professione sanitaria” la pena era aggravata. La donna che si “procura(sse)” l’aborto era passibile di reclusione fino a quattro anni.
1.1 Va peraltro considerato che lo Stato italiano era, da un anno, concordatario con lo Stato del Vaticano. Che la religione di questo Stato, la cattolica, era religione anche di quello, il quale la privilegiava concedendole protezione penale ( artt 402 nss cp) a differenza di ogni altra. Che essa era intransigentemente antiabortista. E di fatti, come visto, lo Stato proibiva l’aborto assolutamente, fino alla istigazione ad esso, e perfino agli “atti abortivi su donna (solo ndr) ritenuta incinta”.
Lo proibiva incondizionatamente, quali che fossero le condizioni fisiche psichiche sociali della donna, fosse pure essa a rischio di vita per la gravidanza. E quali che fossero le condizioni fisiche del concepito, pur se di rischio di grave malformazione. O quale che fosse la sua età.
Quindi alla donna, sul concepito, era negato ogni potere, a dispetto della immedesimazione carnale. Come pure alle volontà dell’uomo che lo avesse inseminato. Sulla base di una legge maschile, interamente tale nella derivazione o interazione con lo Stato concordatario rappresentato dal potere clericale, già giuridicamente solo maschile (come è noto).
1.2 Una legge dunque esprimente potere maschile, escludente potere femminile e politicità della donna (basti rilevare, d’altronde, la tardività della attribuzione, ad essa, dell’elettorato attivo e passivo: alla fine della monarchia postunitaria: quarto decennio del‘ novecento).
Il sistema istituzionale complessivo aveva generato, oltre che prassi, ideologia antiabortista, e ne aveva instaurato egemonia culturale.
2. Durante la repubblica democratica italiana è ammessa (con legge n. 194, 1978) l’”interruzione volontaria della gravidanza” entro i suoi primi novanta giorni, quando la prosecuzione della gravidanza “porterebbe serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione al suo stato di salute alle sue condizioni economiche o sociali o familiari o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito”. In tali casi la donna è tenuta a rivolgersi ad un consultorio pubblico o a una struttura sociosanitaria abilitata o un medico di sua fiducia, per l’avvio dalla pratica interruttiva. Dopo i novanta giorni l’interruzione volontaria della gravidanza è possibile quando essa “comporti grave pericolo per la vita della donna, quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”.
2.1 E nel periodo in esame, l’”interruzione della gravidanza” della donna, senza il suo consenso è passibile di reclusione fino ad otto anni (a dodici anni se la donna abbia subito una lesione personale gravissima; a sedici anni se ne sia derivata la morte). Col suo consenso e senza l’osservanza delle modalità sopra indicate: fino a tre anni. In questo caso la donna è passibile di multa (seguono variazioni penali a condizioni date che qui non è necessario richiamare).
2.2 Alla donna è dato potere sulla gravidanza e sul concepito, anche nel rispetto della immedesimazione carnale. Come pure, ovviamente suo tramite, alle volontà dell’uomo che lo avesse inseminato. Sulla base di una legge femminile, tutt’altra culturalmente da quella maschile, evidentemente recisa la sua derivazione o interazione col potere maschile dei due Stati concordatari.
2.3 Questa legge dunque ha espresso potere femminile e politicità della donna, ha escluso potere maschile. Il sistema istituzionale complessivo ha generato, oltre che prassi, ideologia abortista, e ne ha instaurato egemonia culturale.
Ora
3. una recente determinazione (dei senatori repubblicani, tutti maschi) dello Stato federale statunitense Alabama; ha introdotto la proibizione della interruzione della gravidanza in ogni caso, anche in quello di gravidanza da violenza sessuale o incesto. Tranne il caso del pericolo di vita della donna per la gravidanza.
La ha introdotta a ribaltamento della sentenza “Roe vs. Wade” con la quale la Corte Suprema Usa, nel 1973, legalizzò l’aborto a livello federale, dichiarando intangibile la volontà della donna sul proprio corpo, il suo potere sul concepito; dando ad essi estensione pari a quelli della seconda legge italiana, d’altronde dello stesso periodo storico: quello dei fermenti e movimenti e moti popolari innovatori delle culture non solo giuridiche solidificate.
3.1 La proibizione è stata introdotta dal partito repubblicano in uno stato repubblicano – federato con altri stati repubblicani – del quadriennio trumpiano. Corrisponde per estensione a quella disposta nel periodo della monarchia fascista italiana. Per ciò non pare determinante la forma dello Stato legiferante in materia.
Pare determinante, piuttosto, la natura confessionale della federazione (dove -oltre altro- implicativamente gli agenti istituzionali di ogni genere prendono servizio giurando sulla Bibbia…), dove le più disparate forme di culto, del cristianesimo e di altre religioni monoteistiche, dove chiese di ogni specie (la “evangelica” in testa), dove la Destra confessionale veterotestamentaria, hanno marcato e attivato fanatismi dei quali l’antiabortismo è (forse) vessillifero.
Fanatismi, si diceva, o fondamentalismi?
4. A sostegno della proibizione l’Alabama ha ordito un apparato punitivo che commina fino a novantanove anni di carcere a chiunque pratichi l’aborto. Una pena letale, che secondo il principio biblico della corrispettività fra male inferto col delitto e male inferto al delinquente (detto anche principio della retributività), suppone che il concepito, embrione o feto, sia persona umana al pari di chi lo sopprima.
Supposizione, tuttavia, manifestamente feticistica, fideistica, o scientemente falsaria. Lo denuncia non tanto il concepito, ovviamente non personificabile (“persona” era detta la maschera dei teatri etrusco -persu, persuna- e poi latino, che conferiva individuallità sociale all’attore in scena), quanto la reazione statale alla sua eliminazione, “simmetricamente” eliminatrice del suo autore.
Di fatti essa, osando conferire al concepito individualità e socialità che non ha affatto, celebra la prima transustanziazione (trasformazione della sostanza: pane in carne, vino in sangue…, per esempio…). E reagendo alla sua eliminazione eliminandone l’autore celebra la seconda, la trasformazione dell’innocente in reo.
Così peraltro dando ebbrezze di poteri divini, di fatti ieraticamente esercitati sia “in nome del popolo” che “in nome di dio”, in collettivo e compiaciuto delirio di onnipotenza.
5. Fondamentalismi, dunque, più che fanatismi, tanto che se ne riscontrano corrispondenti nei Paesi a Sharija più o meno secolarizzata, come Iran o Arabia saudita. Fondamentalismi ai quali, più apertamente di Alabama, si approssima lo Stato del Texas, che all’autore dell’aborto si accinge ad applicare la pena di morte. Ed ai quali tendono ad approssimarsi altri Stati dell’Unione, Kentucky, Mississippi, Ohio, Georgia, Missouri, che proibiscono altrettanto intransigentemente l’aborto, mirando sinistramente al suo autore.
Criminalità di livello tra i più alti, tendenzialmente universale invero…, della legge penale?

Pietro Diaz

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DUE GIUGNO GIORNI DOPO…

La repubblica italiana, sorta dalla parte di popolo che era prevalsa al Referendum sull’ altra che aveva votato per la monarchia fascionazista, nel quarto decennio del ‘novecento.
Votato per la monarchia che, nello stesso decennio, durante la “seconda” guerra, aveva perpetrato:
il massacro di quella parte poi prevalsa, e delle popolazioni militari e civili (più o meno prossime geograficamente) appositamente dichiarate nemiche;
con massacro dei massacratori medesimi: “la meglio” gioventu’ comandata ad uccidere “le meglio gioventù” uccidendosi;
e il massacro, nel decennio prima d’esso, di popolazioni militari e civili balcaniche ed africane, che non le si erano sottomesse;
e il massacro, nel ventennio prima d’esso ( marchiatasi di fascismo e di nazismo) della parte del popolo che non le si era sottomessa;
e il massacro, nel trentennio prima d’esso, della “grande guerra”, di popolazioni militari e civili ( più o meno prossime geograficamente) dette nemiche;
con massacro dei massacratori medesimi: “la meglio” gioventù comandata ad uccidere “le meglio” gioventù uccidendosi;
e la repressione militare, nel ventennio prima d’esso, delle forze proletarie d’ogni ambito operativo, che avevano impreso a reclamare diritti economici e sociali;
e la repressione militare, nel ventennio prima d’esso, di popolazioni centro-meridionali ribellatesi alla azione brutalmente unificatrice d’esse ad altre, premeditata ed eseguita dalla monarchia non ancora fascista né nazista, tuttavia imperialista (ribellione la cui profetica lungimiranza e’ attestata, oggi, dalla successiva storia del Paese, sopra intravvista).
Eccidi della monarchia postunitaria, perpetrati, tutti, con operazioni ed azioni guidate dagli Stati Maggiori delle “Forze Armate dello Stato”.
Ebbene:
La repubblica italiana sorta dalla lotta di popolo che la aveva tratta da quegli eccidi, anche questo due giugno. giorno della sua Festa, è stata spadroneggiata dai discendenti di quei medesimi Stati Militari, ammutolita assordata stordita eclissata dalle loro bellicose tonitruanti parate, e clamorosamente espropriata al suo popolo fondativo.
In così flagrante assurdità, che il suo presidente si è affrettato a sopire: “…. non e’ la festa della forze armate ma quella della Repubblica…”.
Ciò sebbene la presenza, alla testa del corteo, di “trecento sindaci” comunali velleitariamente addobbati della fascia tricolore “in rappresentanza del popolo”, mentre destava compassione, ironizzasse mestamente sulla realtà del rapporto, in Italia, fra civismo e militarismo (e paramilitarismo di varia specie).

Pietro Diaz

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Mattarella: “L’avvocatura ha un ruolo insostituibile”

Il messaggio del presidente della Repubblica in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Cnf.
È un «ruolo insostituibile» quello dell’avvocatura nella «elaborazione della cultura giuridica» delPaese, e ciò «impone che l’attività forense sia esercitata conautonomia e professionalità». Lo scrive il presidente dellaRepubblica Sergio Mattarella nel messaggio inviato al Consiglionazionale forense, letto dal presidente del Cnf Andrea Mascherinin apertura della cerimonia per l’anno giudiziario forense. «Atal fine si rivela centrale la cura della formazionecontinuativa – si legge ancora nel messaggio – e l’impegno peril rigoroso rispetto delle regole deontologiche». Il Capo delloStato ricorda quindi come nel 2018 e ancora nei primi mesi diquest’anno siano stati approvati «importanti provvedimentilegislativi» per l’attuazione dei quali «si rivela fondamentaleil contributo della classe forense».

Il messaggio integrale del presidente della Repubblica

«In occasione della inaugurazione dell’anno giudiziario 2019, mi è gradito far giungere a lei, illustre Presidente, ai componenti appena eletti del Consiglio Nazionale Forense e a tutti gli intervenuti il mio cordiale saluto. Il 2018, così come i primi mesi dell’anno in corso, sono stati segnati dall’approvazione di importanti provvedimenti legislativi, per l’attuazione dei quali si rivela fondamentale il contributo della classe forense. Il ruolo insostituibile, che essa svolge nella elaborazione della cultura giuridica del Paese, impone che l’attività forense sia esercitata con autonomia e professionalità. A tal fine si rivela centrale la cura per la formazione continuativa e l’impegno per il rigoroso rispetto delle regole deontologiche, che il Consiglio ha da sempre assicurato. Il tema scelto per l’odierna tavola rotonda dimostra la rinnovata consapevolezza in ordine alla funzione, anche sociale dell’avvocatura, chiamata a promuovere la tutela dei diritti fondamentali della persona in una società in dinamico mutamento. Con questo spirito, rinnovo il mio fervido augurio di buon lavoro».

Commento:

Per il Presidente della Repubblica, quello della avvocatura sarebbe un “ruolo insostituibile, che essa svolge nella elaborazione della cultura giuridica del Paese”.
Soltanto?
Possibile che ignori:
che se spetta alla Procura della Repubblica l’azione penale generale,
spetta alla avvocatura l’azione civile generale.
E che ad essa spetta inoltre:
-l’azione amministrativa generale contro l’illegittimita dell’esercizio del potere amministrativo;
-l’azione tributaria generale contro l’illegittimità dell’esercizio del potere tributario;
la “giurisprudenza” (l’impiego del sapere giuridico a prevenzione e soluzione della controversie sociali) stragiudiziaria.
E spetta infine la resistenza alla sostituzione del potere legislativo, del potere esecutivo, o alla disapplicazione sistematica dei prodotti normativi di quei poteri; spetta insomma la resistenza alla più penetrante offesa allo Stato di diritto:
dalla magistratura (in prevalenza) penale?
Per di più irresponsabilizzabile giuridicamente?
Possibile che ignori tutto ciò, il PdR?
E quindi che abbia minima idea della dimensione del “ruolo” sociopolitico della avvocatura; e quindi, di riflesso e correlativamente, di quello della magistratura?

Pietro Diaz

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DALLA DISPERSIONE DI TORTORA A QUELLA DEL SUO PROTETTORE

Oggi sono trentunanni dalla morte di E Tortora, lenta dolente umiliante, indottagli, sebbene innocente, dall’apparato di giustizia penale italiano, nell’ esercizio della funzione istituzionale.
Posdomani morira’ (finora è certo) Radioradicale – la radio, civile, fra le più informative istruttive ammaestrative formative, del Globo- che, col Partito politico del quale è organo, leni’ l’agonia di quel martire eleggendolo ad un Parlamento che lo immunizzasse. Sebbene egli se ne sia presto dimesso, per risottomettersi socraticamente al suo incube giudiziario.
Il partito, 5stelle, che da qualche tempo ha dedicato sé stesso all’imbestialimento giuridico di quella funzione, che è divenuto il braccio legislativo del suo apparato, oggi e’ anche il repressore di quella Radio.
C’e’ qualche rapporto fra le due attività, quella di Partito per conto dell’apparato persecutore di Tortora e quella di persecutore della Radio del Partito che eroicamente gli si oppose?

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I RAGIONAMENTI DEL LADRO

1. Il ragazzo respira a fatica, un proiettile gli attraversa l’addome che insanguina il sedile della vettura ove giace, mentre il conducente corre verso l’ospedale sull’uscio del quale lo deporrà senza mostrarsi, né lui né gli altri viaggiatori. Perché ladri in fuga dal luogo del furto ove il derubando ha aperto il fuoco. Perché “delinquenti” in cerca di impunità, oltre che di salvezza della vita del complice. 
All’ospedale è rinvenuto dagli addetti, è d’urgenza introdotto nella sala operatoria, gli è estratto il proiettile, tamponata l’emorragia, suturata la ferita. Vi è ricoverato. 
Tutti han capito che è un ragazzo di “malavita”, perché ferito e lì deposto in quei modi. Ma lì la vita non è né mala né buona, è vita da sottrarre comunque, il più possibile, alla morte. Per privilegio perfettamente egualitario di ogni essere umano in sé, In quel posto del male del corpo che non differenzia quello del “malvivente”. 
1.1 Sono, tutti, di mala e di buona vita, gesti spontanei salienti dal Popolo, i predetti, ben congegnati in esso. Atti di solidarietà verso i sofferenti e i pericolanti, verso chi senz’essi non se la caverebbe. Marcano fermamente questa parte dell’organismo sociale.

2. Il ragazzo è stato colpito da colui che stava per derubare, mentre andava in cerca di roba che non aveva presso chi l’aveva. Non roba particolare o voluttuaria, roba da poco, di “primaria necessità”, che gli levasse la fame, a lui e ai suoi. Roba che il derubando s’era comprato e che egli non aveva potuto comprare, benchè necessitasse ad entrambi allo stesso modo. Roba che quindi evidenziava disparità di condizioni e di modi per averla, e che perciò era ad alta significatività sociopolitica. 
Poiché questionava se la politica non dovesse parificare le condizioni e i modi, per averla. 
O se la politica che fosse inadempiente a quel compito, non dovesse evitare, assolutamente e almeno, di accrescere le disparità castigando l’ineguale in esse. Castigandolo per di più non moralmente ma penalmente, con pene totalmente invalidanti quando non letali. 
O non dovesse comunque, la politica, evitare di nascondere l’inadempimento da incapacità o da malvagia volontà (che su esso ha edificato spaventosi e lucrosi poteri di assoggettamento delle popolazioni, fino ai calvarii e alle segregazioni di massa), incolpando quelle condizioni e quei modi, spacciandoli come delinquenti, criminali. Risolvendoli politicamente con lo “scioglimento nell’acido” della più truce illiceità.
2.1 Visibilmente, qui i gesti di spontaneo solidarismo sopra esposti sono scomparsi e compaiono gesti diametralmente opposti. Di odio in lotta al diseguale, alla diseguaglianza sociale sulle “primarie necessita”, di repressione e punizione di quelle condizioni e quei modi. 
Compaiono blocchi delle loro destinazioni costituzionali a comparire, in adempimento dei “doveri inderogabili di solidarietà politica economica e sociale, a riconoscimento e garanzia dei diritti inviolabili delle persone” (art 2). E in adempimento del compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e la uguaglianza impediscono il pieno sviluppo della persona umana…(art 3). 
Compaiono gesti, dei poteri istituzionali inadempienti a quei doveri e a quei compiti, eversivi della Costituzione. 
2.2 l Dunque, questa parte dell’organismo sociale, e quella, sono in conflitto intestino. Ma è ovvio che domini la più potente, quella che possiede la “forza della legge” , e che può impartire ordini al suo esecutore giudiziario.

3. Se non fosse falso quanto apparso sui “social” delle parole, sul lettino dell’ospedale, del ragazzo convalescente (ma se lo fosse, essendo circolato nella voce collettiva, sarebbe comunque vero in quest’ ambito, e considerabile ugualmente), egli ha piena “coscienza di classe” della suesposta questione politica. 
– Io lavoro, rubando, ha detto. 
Il furto quindi, per lui, è atto economico, lavorativo, procacciativo del necessario nelle condizioni e nei modi sociopoliticamente impostigli. L’ imposizione, d’altronde, è effetto della istituzione di condizioni e modi alternativi, che la politica non ha avuto la capacità ( pur avendone la possibilità) o la volontà (vd sopra) di generalizzare, universalizzare. E che con ciò ha portato al grado del privilegio, non solo perché diseguali e diseguaglianti, ma anche perché esaltati e protetti dalla criminalizzazione degli altri. 
– Io rubo bene attento a non far male ad alcuno, ha proseguito il ragazzo. 
Il furto, quindi, come atto economico puro, intento alla acquisizione della sola roba cercata, nel rispetto di ogni altra e nella inflizione del minimo sacrificio al derubato. Il furto, quindi, oltre che necessario, atto morale, “legale” di una legalità fattuale e fatale: se la norma nasce dal fatto, se il fatto genera la norma quando la sua forza tragga (ogni potere giuridico, d’altronde, storicamente è sorto dai fatti. Se ne ha un esempio sopra: il potere di punire il (quel) furto si è insediato sul fatto dell’inadempimento, cosciente o no, volontario o no, ad una politica sociale che rispettasse gli obblighi costituzionali sopra visti…). 
– Ma se mi si risponde sparando allora la prossima volta andrò armato a rubare, aggiunge il ragazzo.
Il furto, dunque, quale atto “legale”, suscitante in lui anche il sentimento della liceità, e della illiceità della opposizione letale ad esso (peraltro, è discutibile, non qui ovviamente, se la difesa da una “difesa” illegittima benchè “legale”, non sia legittima..). 
3.1 Come si vede, parole del ragazzo ( o della voce collettiva) da ascoltare immancabilmente, per conoscere la ragione del ladro – comunque operante socialmente- ed il torto del suo castigatore. E per conoscere la ragione di questo ed il torto di quello. Per conoscere l’insieme, oltre che dinanzi alla morale, soggettiva, dinanzi al diritto, oggettivo , posto dalla Costituzione, sopra visto. 
E per concludere politicamente sul fatto e il da farsi, nella repubblica democratica fondata su quel diritto.

4. E comunque nessun potere politico ha stigmatizzato il ladro più di quanto abbia fatto il “gialloverde” (a cominciare dal ghigno sprezzante del capoleghista al suo vertice, quando –quasi sempre- ne pronunci la parola), confezionando la recente legge sulla legittima difesa e su altro. Questo, aggravativo delle pene del furto e di altri delitti che lo contengono (la rapina), o che lo precorrano (la violazione del domicilio), è tuttavia rimasto nel solco della tradizione politica fascista (1930), della incolpazione delle condizioni e dei modi sociali del furto (sebbene, dal 1948, spettacolarmente contraria alle direttive politiche della Costituzione, sopra viste). 
Mentre quella, la legge sulla legittima difesa, ha sovvertito la tradizione stessa, che mai aveva minacciato al ladro e a lui comminato la pena di morte abilitando il derubato alla esecuzione sul posto (quella avviata sul ragazzo, sebbene prima del giorno quindicesimo nel quale la legge, promulgata e pubblicata in Gazzetta Ufficiale, sarebbe entrata in vigore). 
Pena di morte, per giunta, drasticamente bandita dalla Costituzione (art 27) se pure questa ammettesse, ma è dubitabile (per quanto detto sub 2), le pene di quella tradizione. 
E così incommensurabile al ladro e al furto (nei Paesi non di Sharjah!), da evocare vera discriminazione di classe o etnica o razziale, della condizione e del modo della acquisizione patrimoniale dell’indigente, rispetto a quelli di ogni altra acquisizione patrimoniale. E tanto più della acquisizione a scopo (esclusivo o concorrente) di lucro, mirata alla roba privata o pubblica, indebita economicamente o socialmente o moralmente o giuridicamente: 
si pensi alla progettazione di un partito politico che punti ( solo o anche) alla miriade di vantaggi derivanti dalla conquista elettorale di seggi istituzionali, e la consegua. Acquisizione non solo del tutto impune ma anche socialmente esaltata.

Dunque vera discriminazione classista o etnista o razzista, del ladro e del furto, quella attinta dalla legge gialloverde.
E della quale alcuni dei suoi autori sembra abbiano avuto consapevolezza, e voluto darne anticipazione simbolica, il giorno della umiliazione pubblica, “di Stato”, di C. Battisti che scendeva dall’aereo che lo estradava dalla Bolivia per esecuzione in Italia di una condanna per omicidii. 
Chi aveva ucciso? 
Il 16 febbraio 1979, P. Torregiani e L Sabbadin, i commercianti che in precedenza, senza necessità, ciascuno in distinte occasioni, avevano colpito a morte (e il primo ferito altri) un rapinatore. 
Chi vendicava (politicamente, a suo dire, quale membro dei PAC, “proletari armati per il comunismo”)? 
I due rapinatori. 
Cosa oppugnava? 
La (il)legittima difesa …
Ciò non ingerivano, gli umiliatori, quel giorno, di C. Battisti…

Pietro Diaz

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“Modelli criminali…” secondo il titolo del libro dei due magistrati antimafia Pignatone e Prestipino, in tema di “Mafia Capitale”.

Grammaticalmente sostantivo e aggettivo, il primo ed il secondo termine, letteralmente denotano che i modelli sono criminali.
E’ possibile che sia stata un svista.
Ma comunque, se i modelli, cioè le prefigurazioni delle realtà cui pensano, sono criminali, ciò invera la teoria per cui non c’è crimine nè criminalità senza il previo modello, essi stanno anzitutto nel modello.
E’ poi ovvio che abbiano un qualche rapporto con la realtà. Di fatti i modelli sono concepiti per regolarla.
Ma quando la regolazione sia il mezzo ed il modo dell’attacco ad essa, della “lotta” ad essa (è sempre tale la regolazione penale, per definizione repressiva e menomativa o annientativa di essa), allora i modelli la hanno in odio.
E quando ciò sia, è altamente probabile che, essi, siano modelli di etnizzazione, di etoizzazione, di razzizzazione, del sociale (la criminazione, col suo modello, è del tutto equivalente e corrispondente ad esse).
E’ quindi probabile che essi contengano ed esprimano il risentimento etnico, etoico, razziale (o criminoico), del modellatore.
Che essi quindi siano etnisti o razzisti. e possano quindi preludere a regolazioni da pulizia etnica o razziale.
Probabile tanto più, quando siano intenti a colpire etnie o razze, o stili di vita, non altro. Come fanno i “modelli criminali” che attaccano esclusivamente formazioni, gruppi sociali, aggregati umani, associazioni.
Ciò anche perchè quell’indole è storicamente provata.
La ebbero i “modelli criminali” della cultura penale nazionalsocialista, paradigmaticamente etnista e razzista, clamorosamente realizzativa d’essi. Il “modello criminale” in art 416 bis cp non se ne discosta.

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MATTARELLA E LA LEGITTIMA DIFESA OMICIDIARIA .…

1.Per art 74 della Costituzione, il PdR (presidente della repubblica) che ravvisi la illegittimità di una legge parlamentare al momento della sua promulgazione, la rinvia alle Camere – con messaggio motivato- per una nuova deliberazione.
La disposizione è chiara sul da farsi, sebbene non lo sia sui presupposti.
Presupposti che Mattarella (in alcuni precedenti obiter dicta: rilievi incidentali, di passaggio) ha indicato nella “manifesta incostituzionalità” della legge. Che altri PdR hanno dilatato (o non ne hanno parlato) . E che Cossiga PdR ha esteso fino alla tutela di “altri interessi e valori costituzionali quali.. coerenza e correttezza istituzionale…con particolare riguardo all’attuazione della Costituzione”.
E difatti rinviò leggi in fase di promulgazione 22 volte, a differenza degli altri PdR, il più attivo dei quali, sei volte.
1.1 Il rinvio d’altronde è obbligatorio se la illegittimità della legge potrebbe attentare alla Costituzione (il delitto in art 90 cost. ); ciò che il PdR non potrebbe permettere senza andare sotto processo (messo in stato di accusa dal Parlamento e giudicato dalla Corte Costituzionale integrata da non togati: artt. 90, 135 cost..).
Ed è tanto obbligatorio da escludere che possa avvenire una sola volta -art 74 cit.2-, come pure la disposizione sembra dire. Giacchè il rinvio è dovuto quante volte la legge attenti alla Costituzione. E se al limite dell’attentato le posizioni della parti (PdR e Camere) si irrigidissero, una delle due potrebbe sollevare “conflitto di attribuzione” davanti la Corte Costituzionale (art 134 cost.).
1.2 Orbene, è andata a promulgazione dal PdR la legge gialloverde sulla “legittima difesa”, la quale al ladruncolo domiciliare nega il diritto alla vita o alla incolumità personale, beni (naturalistici e giuridici) tra i più protetti dalla Costituzione, che solo una legge costituzionale (art 138 cost), non ordinaria (art 73 cost.) come la suddetta, potrebbe intaccare (anzi nemmeno essa, essendo beni protetti anche da Carte internazionali e sovranazionali cui la Costituzione non potrebbe derogare).
Glieli nega opponendo il diritto alla integrità del patrimonio privato (pur se bene assolutamente sottovalente in Costituzione: art 42), e anzi, addirittura, opponendo la immunità del domicilio da intrusioni solo tentate.
Inoltre, glie li nega senza processo pubblico, ma solo individuale, privato, che lì per lì celebri il titolare del domicilio.
Cioè, glie li nega non in “riserva di giurisdizione” (costituzionalmente imposta): funzione dello Stato che in pubblico processo e nel contraddittorio delle parti interessate dà o toglie un diritto (si noti peraltro che nemmeno questo processo potrebbe togliere il diritto la vita perché vietato dalla Costituzione: art 27; e nemmeno l’incolumità personale perché vietato dal diritto penale generale).
E glie li nega non in “riserva di legge”, perché manca nella legge sulla legittima difesa ogni indicazione casistica dell’esercizio del diritto d’uccidere o menomare l’altrui incolumità. Per per cui esso è rimesso al titolare del domicilio, alla sua legge…!
Insomma nega quei diritti opponendogli quello di “ritorsione” o “rappresaglia” o “vendetta”- avverso l’offesa anche minima solo minacciata o rientrata o consumata (in un furto del ladro in fuga, ad esempio) -, arcaici istituti giuridici (variamente sparsi nel continente europeo), i quali peraltro, al tempo loro, sebbene istituti di offesa corrispettiva (come è, dopotutto, quello della legge in questione) non di difesa, seguivano assai più i principii di proporzione e di necessità.
1.3 Ma non si ferma qui la illegittimità della legge.
Perché essa nega non soltanto quei diritti, ma anche il diritto alla risarcibilità della loro perdita, a chi li avesse persi o ai loro eredi (coniuge figli fratelli nipoti…).
Ciò per “intentio legis” (la intenzione non scritta ma esternata dal legislatore mentre approva la legge, e apparsa chiaramente a chi avesse seguito il dibattito parlamentare), sebbene discutibile in sede di interpretazione applicativa (ma per argomenti e ragioni che qui è impossibile anche solo cennare).
Diritto al risarcimento del danno -patrimoniale morale etc- purtuttavia protetto tanto quanto i correlativi, in Costituzione (artt 24 113 cost.). E la cui negazione, quindi, attenta parimenti ad essa.
In altre parole, la legge andante a promulgazione non avrebbe potuto attentare di più alla Costituzione della Repubblica, essere più conforme ad istituti arcaici, più premoderna, atavica, regressiva.
2.E tuttavia il PdR non la ha rinviata a chi glie l’aveva trasmessa. Non le ha impedito la elisione, per mano privata, del diritto alla vita o alla incolumità personali (diritti naturali, umani prima che costituzionali, della persona).
E, mimeticamente, ha disciolto un pò di inezie pseudogiuridiche, per di più in gran parte non attinenti alla legittima difesa ma ad altro della legge in questione (la parte relativa agli aumenti di pena per alcuni reati) . Ad esempio:
– la sospensione condizionale della pena (a seguito di comportamento risarcitorio) concedibile al ladro dovrebbe esserlo anche al rapinatore (al Pdr è sfuggito che il livello sanzionatorio minimo della rapina aggravata mai potrebbe scendere, e assai imperviamente lo farebbe quello della rapina semplice, a quello sospendibile!);
-il “grave turbamento” (psichico) inducente alla uccisione o al ferimento dell’intruso sia “oggettivo”, ha raccomandato il PdR (intendeva  dire oggettivabile, nel senso di provabile, non potendo essere che soggettiva, in sé, una turba psichica…?);
– “Va preliminarmente sottolineato che la nuova normativa non indebolisce né attenua la primaria ed esclusiva responsabilità dello Stato nella tutela della incolumità e della sicurezza dei cittadini, esercitata e assicurata attraverso l’azione generosa ed efficace delle Forze di Polizia”. Certo, ma  l’autodifesa privata sopravvisse storicamente alla assunzione, dagli Stati, della difesa del privato, proprio per la sua urgenza, indifferibilità, cui lo Stato non potrebbe accudire…!
E discioltele in un “messaggio” indirizzato al presidente del consiglio dei ministri e ai presidenti delle Camere:
sebbene inconferenti, non solo perché inezie, ma perchè prive di valore o di forza di legge, di normatività;
e sebbene il “messaggio”, per art 74 cit., accompagni il rinvio della legge, non la sua promulgazione (peraltro, è discusso fra i costituzionalisti se altri messaggi, a parte quelli in art. 87.2 cost. – i “messaggi alle Camere” del Pdr quale rappresentante dell’unità nazionale-, a malgrado delle loro prassi, siano legittimi).
Discioltele, dicevasi, ha promulgato siffatta legge…
Pietro Diaz

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Primomaggio -Ventimaggio

Mancano venti giorni di navigazione alla “Piattaforma rousseau” per giungere al contatto, per lo speronamento e l’affondamento (o forse l’arrembaggio per la conquista), con la “Piattaforma radioradicale”. 
Venti giorni quindi all’urto, da una massa culturale, di un’altra totalmente difforme discontinua distante, antilogica antitetica antinomica.
La assalitrice ha dovuto avviare la navigazione dissolutrice (o conquistatrice) perché del tutto impotente al confronto dialettico con la assalenda. 
E lo ha fatto dopo essersi munita di potere politico capace di Forza, di eliminazione dell’avversario o del diverso. 
Ovviamente, in condizioni sociopolitiche e di metodo propizie e tipiche, quelle alla base dello “Stile Erdogan”.

Pietro Diaz

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25 APRILE

1.Addì 25 aprile 1945 Berlusconi S. è nato da qualche anno, figlio, forse già ambizioso, di un militare che, con la famiglia, quel giorno, si è tenuto lontano da Milano, occupata dai nazisti del Terzo Reich e dai fascisti (non Savoia ma) repubblichini di Salò e attaccata dai partigiani del CLNAI (comitato liberazione nazionale Alta Italia).
E certo è colpito dalla ignominiosa fuga dalla città, verso Como, del duce B. Mussolini, travestito meschinamente da soldato tedesco, per scampare ai partigiani che lo cercano.
Quel giorno, per di più, questi espelleranno dalla città, dopo averlo fatto in altre del Norditalia, gli occupanti nazifascisti. E dopo due giorni, il 27 aprile (anniversario dell’assassinio mussoliniano di A. Gramsci!) cattureranno e (il giorno 28 di pomeriggio) fucileranno sul posto il fuggiasco.
Impressionato dall’insieme, quindi, quel 25 aprile Berlusconi lo terrà a mente, forse già presentendo che le sue future peripezie di profilico faccendiere gli daranno il potere di redarguirlo pubblicamente.
Accadrà dopo nemmeno un cinquantennio (un istante secondo il tempo storico!) quando, acquisita un’immane potenza mediatica dopo essere stato pronto a tutto per averla – anche il lecchino dei partiti governativi di qualunque sigla – la scaglierà travestito da “liberale” (dopo risalenti travestimenti hollywoodiani da tracotante boss della mala…) sul campo elettorale, per condurre fin dentro le istituzioni dello Stato formalmente antifascista, oltre sé stesso, il suo seguito. Composto dalla destra spontanea, quella neofascista finiana, quella razzista (e neofascista dichiaratamente armata) bossiana, e un pò di destra già travestita da democrazia cristiana.
Cioè per condurre, si diceva, dentro le istituzioni, le entità politiche specificamente o genericamente discendenti da quelle che ne erano state espulse dalla Liberazione simboleggiata il 25 aprile. Cioè anche a dispetto ed a smacco, a lungo meditati, di quel giorno.
Della celebrazione del quale difatti, dal 1994, esse iniziarono la contestazione o la diserzione (o la irrisione). Perchè non accomunava tutti, antifascisti e fascisti: così istigandone subdolamente la revisione storica. O perché celebrazione non di antifascisti ma di “comunisti” totalitaristi (in Italia?!): così astutamente escludendone i non comunisti. O perché -edizione Salvini 2019- “derby tra comunisti e fascisti”: così escludendone gli antifascisti e soprattutto, spina nel fianco, gli antirazzisti. O per altre disparate ragioni.
Ognuna comunque rimuovente puntualmente, dalla celebrazione, la deplorazione del fascismo, la raccomandazione all’antifascismo e all’antirazzismo; (rimuovente) la sua istituzione quale discrimine operativo tra l’uno e gli altri, tra sfregio e annientamento dell’umanità difforme e l’opposizione militante ad essi (un decreto legislativo del governo italiano provvisorio, datato 22 aprile 1946, aveva dichiarato “festa nazionale” il 25 aprile per l’anno 1946. Poi si divisò di simbolizzare la Liberazione del Paese col 25 aprile che aveva liberato Milano e Torino. E con L. n.260/1949, proposta da Alcide De Gasperi in Senato l’anno prima, fu sancito quel giorno Festa Nazionale “anniversario della liberazione”).
Discrimine quindi altamente detettivo (non l’unico ovviamente), indispensabile da chi si fosse proposto di identificare, per debellarlo, il neofascismo. A riprova di ciò, ancora Berlusconi, suo ristatalizzatore, come visto, e disertore dichiarato, costante, annuale dal 1994 ad oggi, della celebrazione (egli d’altronde, ad ogni esordio in pubblico, a ben osservarlo, ha proteso romanamente il braccio destro fino ad ingessare le dita della mano. Talora perfino, evocativamente, da un predellino….). O anche, da ultimo, il trucemente miliziesco per tenute e per armi e ridondanze d’ogni genere neorazzinazifascista, Salvini, disertore esplicito della celebrazione trascorsa. Per di più, in spedizione pulitiva “della mafia” a Corleone, certo non dimentico dello “stile Mori”, il “prefetto di ferro” inviato in Sicilia da B. Mussolini con espresso mandato di pulizia etnica della mafia: all’ultimo sangue.
2. Il 25 aprile celebratamente antifascista, dunque, ha tutta la capacità semiologica di identificare il neofascismo. In specie berlusconiano. Difforme, certo, da quello mussoliniano, ma solo nei “fenomeni” non nelle essenze.
Qui è impossibile osservarle tutte, ovviamente, anche solo per cenni. Ma se ne consideri un paio, bastante a denotare la qualità culturale di ogni altra.
All’avvento di Berlusconi e del suo seguito, crescerà a dismisura la legislazione razzista – emulativa concettualmente, e in parte materialmente, di quella del “ventennio” -, drasticamente abolitiva dei diritti costituzionali dello straniero, ma anche del cittadino (vd alla fine). Crescerà nella stessa misura, ad un tempo, la legislazione penale e procedurale, abolitiva di (quasi) tutti i diritti costituzionali individuali e collettivi del cittadino (e dello straniero). Perchè?
Perché diritti, tutti gli ordetti, resistenziali, portati e consegnati alla Carta dalla Resistenza antifascista. E a maggiore smacco e sopruso, aboliti con legge ordinaria (per di più decretazione governativa convertita dal parlamento sulla fiducia), anziché con legge di revisione della Costituzione (come dovuto per art 138 Cost!).
Con siffatta legislazione, ad un tempo, saranno sabotati i principii del diritto e della scienza penali illuministici e torneranno a fondersi reato e peccato, reato e reo, reità individuale e collettiva; e a convivere reità del fare e del modo d’essere e del solo pensare o del mero stile di vita. Quest’ultima reità, d’altronde, in piena rievocazione del diritto penale nazionalsocialista del Terzo Reich, sebbene (paradossalmente) allora incondiviso dal coevo diritto mussoliniano; ora tuttavia rimosso dal berlusconiano!
E, nella sterilizzazione dialettica e la mortificazione operativa della Opposizione politica, sarà, con ciò, fascisticamente accresciuta la potenza, sociale e militare, degli organi della inquisizione e della punizione, della “prevenzione” e della repressione, “della legge e ordine”. Cioè dei poteri sociali quanto più possibile umiliativi assoggettativi annientativi, dell’umanità sottostante (conformemente alla teoria della organizzazione sociale fascista)..
La spettacolare crescita la porterà, com’è ovvio, al predominio culturale: con “prime notizie” delle sue imprese su tutti i Media, spacciate per referenti unici dell’esistente.
3. Come si vede nel poco che si è narrato e richiamato, celebrazione o diserzione e contestazione e irrisione del 25 aprile molto possono dire e implicare.
Visibilmente, la mortificazione della Liberazione resistenziale dal fascismo e dal razzismo, della vittoria dell’antifascismo e dell’antirazzismo. Da un neofascismo ancora tragicamente “africano” (Iraq, Libia) e squadristicamente italiano (G 8 di Genova: “Scuola Diaz” e innumerevoli altri assalti), non molto diversamente dal fascismo.
Così che oggi le sue prime istituzioni sono nelle mani della organizzazione di chi, penetrandole, chiese riconoscenza per avere inibito l’avvento di Alba Dorata (Grillo, che, quindi, avrebbe avuto il controllo della formazione internazionale neonazifascista! Grillo che, d’altronde – 2013-, proclamò che il 25 aprile “era morto”….). E nelle mani della organizzazione di chi, di formazione politica su base etnica (etnia “padana”, indigena, dialettale, prescolare, civicamente sottosviluppata, e –ovviamente- esclusivistica), perversamente portato ad etnizzare ogni altro aggregato umano, cittadino o straniero, che ravvisi o che tema competitivo, ha maturato un razzismo ferale, da pulizia etnica dentro e fuori “i confini della patria”. E spregiudicatamente statalizzatolo, lo esercita.

Pietro Diaz

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Le girls di Salvini: Bongiorno, Mussolini, (ri)castrerebbero Turing….

1.Lo scolaro Alan Turing è malvisto dagli insegnanti, non supera gli esami di “religione” e di altre materie “umanistiche”, è disinteressato, si diplomerà a stento. 
Ma giunto al King’s College di Cambridge ha un incontro, fatale, con Ludwig Wittgenstein (lì dopo avere abbandonato l’Austria, perché ebreo in pericolo, nei passati anni trenta), teorico (col Tractatus….,,) del linguaggio vigente quale limite del reale riferibile, comunicabile verificabilmente (e da tacersi in sua mancanza). 
Turing si dedicherà, quindi, alla “meccanica quantistica” e alla “teoria della probabilità”, e si immergerà talmente in quello scibile da sortirne intriso. 
In tanta fertilità intellettuale, a ventottanni è notato dall’all’alto Comando militare della Gran Bretagna appena insidiata dalla Germania Nazista. 
Ed è segretamente assoldato perché tenti, adeguatamente accompagnato, la decrittazione di Enigma. Il codice dell’alto Comando militare tedesco, che variato ogni giorno si dotava di indecifrabilità assoluta, dal nemico, e quindi della capacità di diramare imprevedibilmente ordini di guerra alle proprie forze, per azioni di invasione di occupazione di caccia di rappresaglia, imprevenibili. 
Nel corso del tentativo, Turing giungerà alla decrittazione di Enigma e alla possibilità di previsione e (quindi) di prevenzione delle mosse dei Comandi militari tedeschi. 
Per ciò si è ritenuto che abbia notevolmente contribuito alla sconfitta della Germania Nazista ed alla elusione delle distruzioni e degli eccidi che senz’essa sarebbero proseguiti. Ciò dopo avere costruito la “macchina di Turing”, il precursore (si dice) del moderno computer.
2. Ma Turing è un omosessuale. E non riesce a celarlo sebbene viva in una Gran Bretagna “vittoriana” ferocemente persecutrice della sodomia ancora nei passati anni ’50. D’altronde, non molto tempo prima, Essa ha clamorosamente imprigionato, per quel crimine, Oscar Wilde (che morirà “di meningite” cinque anni dopo). Pur se non è giunta a intercettare Wittgenstein, la fucina intellettuale di Turing (domanda incidentale: potrebbero bastare cotanti nomi per meditare sul valore della anomalia – solo statistica!- sessuale nella fornitura del genio, e di innumerevoli altre virtù artistiche e civili? Per meditare sulla fecondità sociale di ogni “orientamento sessuale”, e sulla opportunità della sua liberazione?). 
Scoperto, Turing, è processato e condannato (1954) alla pena della incarcerazione, che tuttavia potrebbe evitare accettando di “sedare” la sessualità chimicamente, assumendo estrogeni, ormoni femminili (che provocano anche ginecomastia). 
Atterrito dall’idea del carcere si sottopone al trattamento. Presto tuttavia corpo e intelletto infiacchiranno e inbruttiranno, per lui inaccettabilmente. 
E di fatti non lo accetterà. 
Poco dopo si darà morte (nella più probabile ipotesi, addentando una mela iniettata di curaro, mentre si adagia compostamente nel letto ora funebre).
3. Il racconto, per mostrare la dispotica irresponsabilità sociale di una punizione giudiziaria, che per redarguire una porzione infinitesima dell’essere umano (l’omosessualità di Turing, di Wilde.. ), la parte minima di un tutto illimitato (e specificamente grandioso), dissolve questo senza residui. 
3.1 Ma anche per tentare di ricostruire retrospettivamente, secondo il metodo analogico, volti e voci culturali degli autori del misfatto attraverso quelli de “la Bongiorno”, “la Mussolini”, di altri simili “eletti”, e di Salvini loro guida politica. 
I quali, oggi, invocano la “castrazione chimica” dei condannati per reati sessuali (che, “ovviamente…”, “volessero” conseguire il “beneficio” della “sospensione condizionale della pena carceraria”; cioè: non sarai carcerato se ti castrerai…).
Volti e voci culturali, dei predetti, perfettamente ricostruttivi, a ben vedere…

Pietro Diaz

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ED ORA: SENATO GIALLOVERDAZZURRONERO “PER SALVINI…” DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE?

1. Non è improbabile che accada se, quando due (o più) poteri dello Stato entrino in conflitto sulle rispettive attribuzioni, è la Corte costituzionale a dirimere. 
E se si ha “conflitto di attribuzione” (art. 134.2 cost.) anche quando un potere prevarichi su un altro, è verosimile che la vicenda senatoriale Diciotti vada alla Corte. 
Di fatti, quali ne furono i termini?
Il “tribunale dei ministri” voleva portare a giudizio (con accusa di delitto di sequestro di persona plurimo e aggravato) il ministro dell’Interno. 
Per farlo non incontrava altro limite che l’autorizzazione a procedere, spettante al Senato (secondo la legge costituzionale n.1 /89). 
Diligentemente la richiedeva. 
Ma gli veniva rifiutata, da un’ intesa deliberatoria fra il partito stellato il leghista e la Destra restante fino all’estrema.
2. Tuttavia il Senato non era libero di comporre a piacere le ragioni del rifiuto. Poiché aveva il dovere di svolgerle col filo dell’art 9 comma 3 della legge suddetta, vedendo se il Ministro “a(vesse) agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio delle funzioni di governo”. 
Cioè aveva il dovere di accertare se quegli elementi fossero stati o no partecipi della commissione del reato ministeriale. 
E il dovere di dare l’autorizzazione ove non lo fossero stati. 
Cioè aveva il dovere di accertare se il ministro, commettendo il reato: 
avesse difeso un “interesse costituzionalmente rilevante”; tale in quanto previsto dalla Costituzione (non altrove); quale esso fosse e perché; da quale offesa fosse stato difeso. 
O di accertare se il ministro avesse perseguito un “preminente interesse pubblico nell’esercizio delle funzioni di governo”; quale esso fosse e perché; perché (inoltre) preminesse sugli interessi (diritti) umani e civili di centosettantasette soccorsi in mare (scampanti all’inferno africano); quali esse (funzioni di governo) fossero, in un esercizio concretamente prefigurato da norme nazionali, internazionali, sovrannazionali (fragrantemente violate..). 
Dovere di accertarlo, ovviamente, riempiendo di fatti (non di vane o inconferenti parole) quegli elementi astratti, per riscontrarli o escluderli. 
E, ripetesi, dovere di dare l’autorizzazione ove li avesse esclusi. Tanto quanto potere di non darla solo ove li avesse inclusi. 
Senza di che avrebbe menomato il potere della magistratura di giudicare, avrebbe leso le sue attribuzioni. Senza di che, il potere senatoriale di autorizzazione sarebbe andato a confliggere col potere della magistratura di giudicare. 
3. Ora, chi avesse seguito l’excursus della deliberazione senatoriale del giorno 19 di marzo scorso avrebbe avvertito che, già terminologicamente, essa esulava dalla griglia verbale e concettuale di cui all’articolo 9.3 cit.. 
Il Senato deliberava su proposta, della Giunta…delle immunità parlamentari, formulata dal presidente Gasparri. La proposta agitava interesse governativo interesse ministeriale interesse pubblico interesse dello Stato interesse nazionale, interesse di ogni genere, tranne i due, e relative qualifiche, imposti dall’articolo richiamato. 
Anzi di essi non solo non simulava il contenuto ma nemmeno il suono verbale. 
Per di più, la proposta, oltre che imbarcare (suo malgrado) la ascrizione, a Salvini, di reati di sequestro di persona assai più gravi di quello in accusa (il reato in art 289 ter cod pen, se ne è fatto cenno in altro scritto su questo Sito), si poneva a disquisire di differenze, quanto a natura ministeriale, fra reati ad offesa irreversibile e reati ad offesa reversibile, mai pensate dalla teoria penale del reato che ha sempre annesso a entrambi i generi pari “consumazione” . 
Si poneva a disquisire comunque di differenze incongruenti alla deliberazione in ballo, non ammessa a neppure sfiorare il contenuto fattuale e giuridico della accusa. 
Anzi tenuta a presupporlo rigidamente, potendo ( e dovendo) esclusivamente accertare se, il reato, fosse stato commesso per difendere o perseguire gli interessi di cui all’art. 9 cit. (v. sopra). 
4. Quindi, la proposta della Giunta (di non dare autorizzazione a procedere) entrava in Senato su un binario manifestamente divergente dalla meta prescritta, sia perché il suo moto logico (come quello del Senato) era vincolato nei criteri e nei termini dall’art. 9 cit. (come detto); sia perché, esso, era escluso dalla valutazione (sotto qualsiasi aspetto) dell’accusa (è siffatta prevaricazione sul metodo e sul merito che indizia conflitto, invasione della attribuzione della magistratura, “per menomazione” verosimilmente). 
E per ciò su quel binario (verbale, concettuale, funzionale) tanto divergente dalla meta, il Senato avrebbe dovuto prontamente fermarla.
5. Ma inoltratasi, la proposta, nell’area della Destra, perfino da quel binario è deviata. Di fatti: 
C’era chi parlava di “esimenti” e di “scriminanti”, a proposito degli elementi dell’art. 9 cit… Cioè evocava quelle “circostanze” che suppongono un reato ma ne escludono la pena (perché commesso, ad esempio, per legittima difesa o in stato di necessità..). Circostanze che sono previste dalla legge penale, perchè attengono al reato. E che proprio per ciò non potrebbero esserlo dalla legge processuale (sulla autorizzazione in discussione). 
Costoro, quindi, inseguendo Gasparri che scivolava sulla (inammissibile) valutazione del reato sventolando differenze categoriali inesistenti, lo sorpassavano evocando “esimenti” e “scriminanti” del reato ugualmente inesistenti, “vedendole” addirittura negli elementi regolanti il procedimento sul reato (l’autorizzazione).
C’era poi chi risciorinava la serie degli interessi elucubrata da Gasparri, al pari di costui, tuttavia, riavvolgendo nella maggiore afasia quella degli interessi previsti dall’art 9.3 cit.. 
E c’era perfino chi, esaltandosi, proclamava “noi siamo giudici”, deliberando sulla autorizzazione a procedere. Senza nemmeno sospettare che, la loro, era una posizione simile a quella del querelante (o dell’ “istante” etc..), colui che dà al processo una “condizione” (“di procedibilità” appunto), affinchè esso parta o prosegua; condizione in tutto corrispondente, concettualmente e funzionalmente (e soggettivamente, malgrado la discriminante pompa magna dei senatori), a quella, la autorizzazione a procedere, in deliberazione. Querelante, come è noto, completamente estraneo ai “soggetti del processo” organici a questo (fra essi, primo, il giudice: cod proc pen, Libro I), mero propulsore estrinseco del processo (pur se poi da questo variamente coinvolgibile). 
Quindi, i sèsupponenti “giudici”, nemmeno sapevano (o fingevano di non sapere) in che veste deliberassero. 
6. Ebbene in tale stato sociopoliticogiuridico, e intellettuale, in tale eccesso dai limiti del proprio potere, il Senato menato dalle suddette schiere, ha rifiutato di dare alla magistratura la autorizzazione a procedere su uno dei più gravi reati ministeriali contro la persona la sua libertà la sua umanità, che la storia processuale penale della Repubblica, e della monarchia postunitaria, abbia censito.

Quindi non è improbabile che sarà portato davanti alla Corte Costituzionale, affinchè la sua deliberazione sia annullata per illegittimità.

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SALVINI E TARRANT: DUE FACCE DELLO STESSO RAZZISMO?

“L’unico estremismo che merita di essere attenzionato è quello islamico”, ha diffuso il ministro dell’Interno Salvini a commento dell’eccidio neozelandese.
L’aggettivo “islamico” designa un credo religioso. E nella frase suppone (almeno un) altro “estremismo”, di (almeno) un altro credo religioso. 
E lo suppone di qualità differente da quello di cui dice, se non “merita di essere attenzionato” e se anzi è da (e per) esso che si “attenziona” (verbo da guardiani, sgrammaticato e stonato, volgarmente esibitivo di ruolo, ma condiviso dal ministro). 
Lo suppone appunto antislamico.
Come quello di Tarrant, credo antislamico armatosi (due volte) contro il credo islamico, uccidendo quarantuno, poi otto, oranti, ferendone non si sa quanti, nei luoghi sacri del loro culto, in due Moschee? 
Il credo del “rosario” che Salvini di tanto in tanto ostenta, per di più nelle esibizioni in pubblico? 
La risposta potrebbe essere affermativa (d’altronde Tarrant vi ha alluso apertamente).
Dunque (in tesi) “estremismo” religioso, quello che sgorga dalla bocca del ministro dell’Interno. Tecnicamente razzismo, se la contrapposizione delle popolazioni in base a religione è razzismo di specie religiosa. 
Esattamente corrispondente a quello esploso dalle armi del neozelandese. 
Pertanto si ha razzismo tanto nel verbo del ministro quanto nei proiettili dell’or detto sui musulmani alle Moschee.
Lo stesso razzismo. 
Si ha quindi l’essenza del razzismo. 
Una essenza culturale. 
Che non ha mai la stessa forma esteriore, ma che tuttavia ne determina ognuna. 
Che è rinvenibile dietro ogni forma che essa determini, purché se ne possieda il codice. 
Codice che in specie non potrebbe essere più semplice, e più fruibile: 
Salvini verbalizza e il pluriomicida arma il medesimo razzismo. 
Essi esprimono differenti forme della medesima essenza. 
D’altronde, non senza raccogliere nelle loro espressioni tutte le espressioni antecedenti. 
Giungendo perfino a catalogarle. 
Lo ha fatto esplicitamente Tarrant, che alle armi e dintorni ha dato nomi di pluriomicidi consumati o tentati come Breivik e Traini, o di eroi di battaglie “contro gli ottomani” (Venier e altro).
Lo ha fatto Salvini, rievocando il pericolo islamico, invocando il soccorso antislamico, materia e lingua del leghismo più conforme (indelebili il dileggio iconico di Maometto, o verbale della maomettana C. Kienge, di “calderoli”; o le viscerali variazioni sul tema di “borghezio”). 
D’altronde, come si sa, è la ripetizione di forme materiali che indizia l’essenza culturale. Che poi la ripetizione solidifica e colloca nella Storia relativa, quale sua “legge”, fino che sia esaurita o altrimenti estinta. 
Ed è sempre la ripetizione che appresta il codice semiologico (la totalità dei segni datisi che permetta l’interpretazione) dell’essenza, che ne consente l’attestazione.
Dunque, essenza di razzismo religioso (ma anche etnico: di cui però qui non si può fare analisi), quella che è scorsa multiforme, tra i borbottii di Salvini e i botti di Tarrant. 
E quella che, ergendosi a soggetto politico reale, ha la capacità di interrogare il sistema, fino a che esso ammetta la sua effettiva consistenza culturale.
Pietro Diaz

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OCLOCRAZIA (governo di folla). LA PARLATA DEI PARLAMENTARI SU “LEGITTIMA DIFESA”.

1.Il termine (dal greco oxlos, massa, e kràtos, potere) risalirebbe a Polibio, storico greco (vissuto duemiladuecento anni addietro) che, nelle jstoriai, le Storie, avrebbe, con esso, designato la degenerazione della democrazia, del governo del demos (popolo), di un soggetto politico ben definito e definiente, scaduto a massa, a folla, degradante sé stesso e il suo prodotto sociale.
Chi avesse seguito, il mattino del sei di marzo scorso a Montecitorio, le “dichiarazioni di voto” (della maggioranza allargata all’intera destra parlamentare) su “legittima difesa”, sarebbe stato contuso dalla incorrispondenza al tema, (anzitutto) giuridico, del pensiero e del verbo dei parlanti, quasi tutti ignari d’esso e privi perfino della possibilità di avvicinarlo. E chi, uno o due, gli si fosse avvicinato, li imbeveva di malafede.
Scorrevano cosi, a fiotti, intoppi e deliqui logici, frasari idiomatici, metafore peregrine, pseudologie sul diritto, sgorganti da sagome di alieni al compito, di esponenti di oclocrazia, di repubblica oclocratica, non democratica.
Per darne in una battuta misura e senso ( la complessità dell’accaduto richiederebbe ben altro), basti notare che, quel mattino a Montecitorio, a tutti i dimoranti in un proprio spazio chiuso del territorio nazionale, era conferito il potere di dare morte senza processo, e improcessabilmente se la si desse, a chiunque si introducesse o si trattenesse “minacciosamente” in esso (in pratica, quel mattino era assegnata pena di morte extragiudiziaria al reato di violazione di domicilio –in senso lato- ordinariamente punibile con qualche mese di reclusione..).
Cioè quel mattino a Montecitorio, da una Camera (non si sa che farà l’altra) era conferito, ai suddetti, un potere che la Costituzione vietava fosse conferito alla magistratura (art.27.4), sebbene esclusiva ed apposita istituzione punitiva.
Cioè quel mattino il Parlamento compiva l’aggiramento, surrettizio e subdolo, del (sacrosanto) divieto, non arrestandosi nemmeno dinanzi alla prospettiva di convertire in assassini i “legittimati alla difesa”. Dinanzi alla prospettiva di fabbricare criminali e crimini (per estrema ingiuria al diritto) impunibili perché improcessabili.
Cioè dinanzi alla prospettiva di divenire criminale esso stesso (se è vero che l’ effetto declina il contenuto della causa…).
2.Tuttavia, all’ascolto per radio, in viaggio, della cacofonia legislativa, insieme al mostruoso contenuto della deliberazione, altro saliva alla mente.
L’ applicazione istituzionale della legge è per nulla oclocratica, è democratica, da Stato di diritto. Perché le sono addette figure collaudate dal possesso di specifici saperi, i quali identificano l’applicazione stessa. Pena la sua antisocialità.
E all’applicazione della legge che fosse contenziosa, perché evocata da chi ne desuma una pretesa contro un altro, o invocata da chi gli risponda, le sono addette figure che possiedono, oltre quel sapere, dell’agire, il sapere del reagire, e quello risolutorio dello scontro. I saperi, d’altronde fecondati dall’accademia, che identificano avvocatura e magistratura. Pena la sua antisocialità.
Ed anche alla applicazione sociale della legge (intesa estensivamente, come “legge dell’arte”, regola del fare sociale, professionale artigianale mestierale imprenditoriale etc. ), sono addette figure collaudate dal possesso del sapere inerente. Pena la sua antisocialità.
Ebbene.
Innesca l’assurdo storico e culturale, che un sistema sociopolitico organizzato e caratterizzato come detto nella applicazione delle leggi, non lo sia nella formazione delle leggi. L’assurdo che il profano faccia la legge per l’esperto. Che l’esperto sia chiamato ad applicarla ma non a farla (peraltro, è sospettabile che in questa discrasia il sistema custodisca, non assurdamente ma coerentemente, la propria riserva di dispotismo).
3. Tanta assurdità ovviamente non e’ ineliminabile. Ma è tutto da studiare come liberare la democrazia dalla oclocrazia, per di più coesistenti, come si è visto, nella Costituzione della Repubblica….

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