I centri di detenzione (e di espulsione) degli immigranti sono in nulla distinguibili dai centri di detenzione dei “residenti” (imputati o condannati), in nulla, perfino nella separazione dei maschi dalle femmine (comune ai “culti” dei primi e a quelli dei secondi, invero).
Poiché la identità del trattamento implica identitá di stati, che i primi non siano imputati o condannati, che i secondi non siano immigranti, è affatto irrilevante, nella teoria nella pratica e nella ideologia dei “centri”, per le quali dunque tutti, “innocenti” o “colpevoli”, sono detenibili.
Detenibili pertanto quali esseri umani, segnati da alcunchè (la classificazione stessa potrebbe “segnarli”) sia inviso (per quanto esclusivamente) al detentore.
La cosa non sorprende, data la estensione dello stigmatismo giuridico del passato, oggi riassunto nella incriminazione esplicita della clandestinita’ personale, che più e più schiettamente ed esclusivamente stigmatica (di deprecazione di un segno previa segnatura!) non potrebbe essere, e data la estensione di quello del presente, impresso agli individui delle più disparate forme di vita associata, delle “associazioni”, sol perché invise, nei mezzi nei fini nelle sagome, allo stigamaizzatore.
Per cio’ la quantita di esseri umani detenibili in quanto tali è incredibilmente estesa, crescente, alla moda.
Che in essa non si perpetri discriminazione individuale o gruppale alla stregua di condizioni personali, sociali, spudoratamente contro l’art. 3 cost, che non si pepetri il peggiore razzismo, è inaffermabile.
Di fronte, la riserva di posti tramviari ai “milanesi” dall’infimo leghismo politico “padano” è la discriminante meschina della plebaglia clandestinamente ascesa al potere.
Che la prostituzione “superiore”, con le annesse attività di induzione di favoreggiamento di sfruttamento, fosse assai vasta, benchè impunita per il rango sociale dei tenutari e degli esercenti, lo si poteva dedurre dall’incremento della repressione penale della materia, iniziata dalla prima legge mirata, quella della sedicente “repubblica democratica antifascista”, ad un tempo clericale, della seconda metà del secolo passato, la legge della “socialista” Merlin (in anteprima di compromesso storico con la moralista diccì).
Che detta prostituzione, con la offerta della spettacolarizzazione di sé a qualunque vivente la cercasse, nei media dapprima pubblici o parapubblici e poi voracemente privati, i media del tempo berlusconiano, berlusconiani, benchè impunita per il rango sociale dei tenutari e degli esercenti, sarebbe smisuratamente cresciuta, “massmedia” essa stessa, mezzo massivo dello scambio negoziale del corpo femminile e della sua spettacolarizzazione, lo si poteva dedurre dall’incremento ulteriore della repressione penale, perfino, di quella del “cliente” dell’infradiciottenne, mai neppure immaginata in precedenza.
Insomma, che le moltitudini dell’area massmediatica prostituissero quasi tutto lo scambio sociale (il più eclatante oggi, quello, a quanto pare, tra una diciasettenne ed il padrone assoluto dei media), lo si poteva dedurre dai suddetti incrementi, dalla legge sociale “del capro espiatorio”, legge del nesso inscindibile tra repressione del fatto dell’altro a discolpazione e purificazione del proprio, del fatto dell’altro in vece del proprio, la legge della “ipocrisia” nella repressione e punizione del prossimo.