L’Ingroia in versione guatemalteca (sempre ad occhio vago e remoto ed a guanciale barbuto in penosa mimèsi) di “capo investigatore”, alias, superpoliziotto internazionale finalmente dichiarato, impacciato da una domanda di Floris di Ballarò, se esista giuridicamente un reato di “trattativa con la mafia”, lo esclude torcendosi, ma si attribuisce “dirittodovere” di investigare la “trattativa” e di incriminare, per falsa informazione o testimonianza, chi gli avesse mentito.
Vien da pensare che, profittando dell’incarico ONU ( e dell’ignoranza dell’organismo sulla genia di giustizieri in toga che impersona, e che passa per le armi questo Paese), sia riparato all’ estero, temendo d’essere chiamato a rispondere (se non dai giudici prevedibilmente, dal popolo) di quella attribuzione, poiché il “dirittodovere” di acquisire informazioni o testimonianze e di incriminarle per falsità, lo avrebbe solo ove un reato fosse commesso e lui, con quelle, lo istruisse, a pena di illegalità giuridica e sociale, della attribuzione, incalcolabile.
E quel reato mancò, alle sue incriminazioni per falsità.
Dalle quali, per giunta, trasse spunto per il rafforzamento simbolico e beffardo della attribuzione, scagliandola sadicamente su una icona del diritto processuale penale, Giovanni Conso, che l’avrebbe definita sacrilega.
Peraltro, in una libidine iconoclasta senza posa, se ad altra domanda di Floris di Ballarò, quale fosse, dopo tutto, la sua posizione politica, ha risposto, pur circonlocutorio: a sinistra….
Quella storica, che non ne avrebbe nemmeno percepito l’esistenza umana?