21.07.16

Dopo il “rapporto Chilcot”

Tornando alla mente il suono liturgico “martiri di Nasiriya” (c.d.) e quello, evale “antica Babilonia” (entrambi, peraltro, solo fantasiosamente riconducibili alla realtà irachena fra gli anni 2003-2006, che pure avrebbero preteso di sottendere o di narrare), torna alla mente ciò che, quei suoni, effettivamente designarono:
la spedizione guerresca delle Forze armate italiane, nella (questa si’ martire) terra irachena, per deliberazione del Governo berlusconiano del tempo, aggiunta a quelle del governo americano, inglese…
Cioè, mi viene in mente Silvio Berlusconi, il terzo, dopo, Bush e Blair, contraffattore intenzionale della condizione effettiva della pericolosità, sulle masse, del dispotismo husseiniano, e con ciò fattore e vettore della immensurabile criminalità, di guerra e contro l’umanità, dai tre riversata sulle popolazioni e le istituzioni di quell’infelice paese, e, per prevedibile anzi prevista propagazione degli effetti brevi e lunghi, sui Paesi dell’area, fino ad oggi e chissà fino a quando.
Ora, se sarebbe stato Blair, criminale di guerra e contro l’umanità, e certamente lo fu, cosi’ come lo sarebbe stato Bush, che gli avrei subito affiancato, perché non lo sarebbe stato Berlusconi?
D’altronde, quanto a demenza “politica” (la politica regge, non stermina, le moltitudini: polus…), a parte quella antropica, come sarebbero stati differenziabili?

Quale “anteprima” di quanto appena scritto sulla scia del “rapporto Chilcot”, ci si permette di riportare l’articolo di Pietro Diaz “crimini iraqueni” pubblicato nel sito www.jusdiaz.it, nell’ anno 2005, consultabile anche al link http://www.jusdiaz.it/index.php?option=com_content&task=view&id=40&Itemid=41

L’articolo 11 della Carta Costituzionale proibisce (a “L’Italia”) la guerra, “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Non solo, dunque, la guerra che, arbitrariamente indetta, offendesse “la libertà” degli “stati-governo” o degli “stati-comunità” (raccoglibili concettualmente nei “popoli”), ma anche la guerra che, astrattamente evocabile da una controversia internazionale, fosse diretta a risolverla. La proibisce enfaticamente, mediante impiego di uno stigma (di genere) morale: la “ripudia” (le parole dei “democristiani”, da La Pira a Moro, applicate alla elaborazione legislativa, in Assemblea Costituente, della norma, furono, eticamente, le più alate). Conseguentemente, ad ogni italiano è imposto di ripudiare (quel)la guerra, a nessun italiano è permesso (ove ne agisse) di ometterlo. L’articolo 11 della Carta Costituzionale (contestualmente) prescrive (a ”L’Italia”) di operare al fine “che assicuri la pace” (“e la giustizia”), se necessario dimettendo una parte della “sovranità”, (così) a disposizione di “organizzazioni internazionali” che meglio operassero, e che, Essa (Italia), deve “promuove(re) e favori(re)”. Conseguentemente, ad ogni italiano è imposto di perseguire la “pace”, a nessun italiano è permesso (ove ne agisse) di ometterlo. Per sintesi, è prescritto il “pacifismo”, è vietato il “bellicismo”. L’articolo 11 della Carta Costituzionale (dunque) permette (solo) la guerra “come strumento”di difesa. Questo è tale (per ciò “legittimo”) quando respingesse un’offesa (proporzionata, cioè bellica), attuale o imminente, non remota (o, ancor meno, meramente possibile). In altre parole, (la norma) permette la difesa “reattiva”, vieta la difesa “preventiva” (se questa fosse stata permessa, come taluno ha ritenuto, alla nascita della norma, in un tempo nel quale l’ordinamento internazionale la prevedeva, oggi sarebbe vietata, poiché quell’ ordinamento – cui quello nazionale si adegua, come ieri, automaticamente, in forza della disposizione costituzionale in art. 10 – contiene, quale norma – divenuta- “generalmente riconosciuta”, una prescrizione, originante dalla Carta ONU, onde è legittima solamente la reazione ad un “attacco diretto”). Ora, non pare inopportuno indagare se l’autore, o il (coautore o il ) partecipe della guerra non difensiva, commetta illecito (nonché culturale) giuridico (e di che specie), e se esso sia reprimibile giudiziariamente. La “codificazione” (penalistica) sovranazionale, approvvigionata da “fonti” (normative) prevalentemente occasionali (ma “generalmente riconosciute”: Statuti dei Tribunali di Norimberga, Tokio, Jugoslavia, Ruanda, altri, Carta ONU, altre), catalogando “crimini contro la pace”, “crimini contro l’umanità”, “crimini di guerra” (oltre altro) , annovera: – tra i primi, il fatto di chi attuasse “condotta” di guerra (non difensiva), o di chi conferisse al “disegno”, alla “preparazione”, di essa, o ne attuasse “cospirazione” o “partecipazione” ( Statuto del Tribunale di Norimberga: una delle “fonti” ); – tra i secondi, il fatto di chi compisse (o partecipasse al compimento di) “atti inumani contro popolazione civile” (Carta ONU, Statuto Corte Penale Internazionale: alcune delle fonti); – tra gli ultimi, il fatto di chi compisse ( o partecipasse al compimento di) “devastazione di centri, città, villaggi” (Carta ONU: una delle fonti). Ebbene, tali fatti, in quanto (appunto) “crimini”, sono reprimibili giudiziariamente (mediante punizione non eccedente l’ergastolo), da appositi Tribunali sovranazionali (giudicanti e deliberanti per iniziativa del Procuratore inerente). Ma oltre la codificazione sovranazionale, anche quella nazionale contiene disposizioni punitive. Tra “i delitti contro la personalità internazionale dello Stato” (Titolo I, Capo I, Capo V, Libro II del codice penale vigente) appaiono: – il fatto di chi “tiene intelligenze con lo straniero per impegnare o per compiere atti diretti a impegnare lo Stato italiano alla…dichiarazione di guerra” (art. 245); – il fatto del “cittadino che…svolge comunque un’attività tale da recare nocumento agli interessi nazionali” (art. 269); (e perfino) – il fatto di chi (ancor prima e solamente) compia “istigazione a commettere alcuno dei delitti” predetti (art. 302); – o attui “cospirazione politica mediante accordo (o) mediante associazione al fine di commettere (uno) dei delitti” predetti (artt. 304, 305). D’altro canto, se si ritenesse (senza azzardo) che la norma, penale, che vieta l’ “attentato alla Costituzione”, in art. 90 della Carta Costituzionale (estensivo dell’“attentato contro la Costituzione”, in art. 283 c.p.), concerna la condotta di ogni funzionario politico (non solo del Presidente della Repubblica, espressamente considerato) dello “Stato-Governo”; e si ritenesse che essa concerna la violazione dei precetti costituzionali (fondamentali), tra i quali, ovviamente, quello in artt. 10-11 (sopra visti), sarebbe catalogato un ulteriore fatto incriminante. Qui, dunque, avrebbe potuto, e dovuto, convenientemente, planare la disputa “occidentale”, logomachia esemplare, penosamente fallace o sfacciatamente mendace, sulla legittimità della guerra iraquena. Qui si sarebbe acquietata. Ora, è dato vedere che lo scenario iraqueno ha pullulato e pullula di esempi, di crimini e di criminali, riconducibili, senza eccessi interpretativi, ai modelli cennati. E commisurarne, a due anni dalla funerea apparizione, la grandezza, a quella del rivoltante loro parto, l’immane devastazione naturale, materiale, culturale, patrimoniale, sociale, politica, istituzionale, morale, giuridica, del Paese. Una grandezza irriducibile, e imperdonabile. Per diabolica ironia, crimini e criminali di origini e confessioni “cristiane”, la cui suprema “guida spirituale”, non sopravvissuta, per morte di ieri, alla loro empietà, aveva, nondimeno, struggentemente implorato, ed esortato, in una delle sue più ferventi allocuzioni: “difendete la pace, anche a costo della vita”!

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