Ahmet e Mehmet Altan, fratelli, accusati di avere cercato di rovesciare l’ordine costituzionale, il parlamento e il governo della repubblica turca con tre articoli e una trasmissione televisiva che avrebbe contenuto “messaggi subliminali” lanciati alla vigilia del colpo di Stato del luglio 2016!!, imprigionati da 450 giorni, il 13 novembre sono davanti al loro giudice (ma da uno schermo appeso al soffitto perché la partecipazione fisica non gli e’ consentita), difesi da quattro avvocati (che possono sentire in carcere non piu’ di un’ora a settimana in colloqui registrati e presenziati da guardie), nel piu’ grande e moderno palazzo di giustizia di Europa, a Instambul, alla 26ma Alta Corte Penale.
Gli avvocati si accingono a sollevare eccezioni procedurali (una ventina) per chiedere, all’esito, la loro scarcerazione ma il presidente della Corte passa la parola al pubblico ministero perchè dia inizio il dibattimento.
Quando l’avvocato Ergine Cimnen si leva per osservare che le eccezioni, in quanto preliminari, debbono precedere l’inizio del dibattimento, e’ espulso dall’aula.
Alla ripresa dell’udienza un altro avvocato, Figen Albuga Calikusu del Collegio di Antalya, una donna, prende la parola e ricusa il giudice, è espulsa a sua volta.
Ahmet Altan, i cui romanzi sono tradotti in vari Paesi tra cui l’Italia, ha scritto ai giudici: “uno Stato se vuole essere tale ha bisogno di prove per giudicare le persone, solo i despoti armati imprigionano la gente senza prove. Se continuate a giudicarci e a metterci in prigione senza prove, violerete le basi stesse della giustizia e dello Stato. Il vostro sara’ un grave crimine“.
Una obiezione.
Senza prove? Le prove empiriche, quali quelle giudiziarie, suppongono un fatto che ne sia oggetto. Se manca il fatto e’ elusivo o collusivo denunciare mancanza di prove. Va denunciata la mancanza del fatto. In effetti i due fratelli rischiano l’ergastolo per mere manifestazioni del pensiero, per reati di opinione, di posizione (dissenziente o avversa al regime di Erdogan).
Una osservazione.
Di accuse senza fatto, fatte del solo accusato; di rei senza reato, fatti non d’altro che la loro condizione sociale politica etica etnica religiosa razziale sessuale stilistica etc. (basti rammentare le persecuzioni giudiziarie degli Ebrei, degli Armeni dei Curdi, dei Palestinesi, dei Rohingya, degli Uiguri, degli Yazidi, degli Zingari, degli Omosessuali, dei Disabili degli Asociali, dei Neri – per limitarci ad alcune, ed agli ultimi cent’anni-colpevoli non d’altro che d’esser nati con apparenze e appartenenze date) traboccano le inquisizioni penali del Globo.
Pronte per giunta a incarcerare a vita o a portare a morte, in sproporzione tale, al contenuto della accusa, da atterrire, infondere terrore, incarnare Terrore (Giacobino: la Legge dei Sospetti, del 1791 – proliferante ovunque nei secoli successivi- in base alla nascita allo stile di vita alla posizione sociale, per i quali chiunque potesse essere deportato o imprigionato o soppresso, gli fece da detonatore). E in sproporzione tale da controriformare, tremila anni dopo, la legge penale il principio penale del Talione (occhio per occhio…). In queste ore Ahmid Djalali, ricercatore medico iraniano, è prossimo alla esecuzione capitale per avere rifiutato d’essere confidente dei Servizi del suo paese.
E l’italia, avanguardia beccariana che pareva potesse ergersi a guida mondiale del diritto penale del reato, non del reo, e proporzionale ad esso, e che nondimeno ha recentemente arrestato, per partecipazione ad associazione mafiosa, l’avvocato che, nel processo per diffamazione intentato da R Saviano, R Capacchione. R. Cantone ad alcuni “mafiosi”, poi peraltro prosciolti, aveva “osato” chiedere la rimessione degli atti ad altro giudice per legittimo sospetto (art 45 cpp), processa ogni giorno le intenzioni, ogni giorno le condizioni umane suddette, e le condanna financo alla tortura del 41 bis.
P.Diaz