Dicesi agente provocatore colui che induca la altrui esecuzione di un reato. L’induzione ha (e deve avere per il “principio di stretta legalità” dei fatti giuridici penali) la forma della istigazione o della determinazione (artt. 115, 112 cp). Si ha la prima quando, da essa, sia rafforzata la risoluzione criminosa altrui; la seconda quando la risoluzione sia da essa suscitata.
Se il reato segua alla istigazione ed alla determinazione (a questa, rettamente intesa, non potrebbe non seguire), istigatore e determinatore sono concorrenti nel reato. Coautori d’esso.
Alla condizione, tuttavia, ripetesi, che il reato segua, giacché se non seguisse, pur se la istigazione fosse stata accolta, per art.115 cp l’istigatore come ogni altro concorrente non sarebbe punibile.
Dunque l’agente provocatore concorre, siccome istigatore o determinatore (si dice in letteratura “concorrente morale”) nel reato, ne è coautore.
La figura del suddetto, radicata e risalente nella prassi poliziesca italiana (e di altri stati o federazioni di stati: quella nordamericana ad esempio), è stata assai dibattuta giuridicamente: se fosse figura di reo o no. A dispetto della ineccepibile dimostrazione che lo fosse, sopra cennata, il dibattito fu suscitato dalla circostanza che, a provocare reati, era solitamente il poliziotto travisato, membro di un ceto socioistituzionale privilegiato, per intuibili ragioni, e immunizzato di fatto (cioè senza che la legge lo prevedesse o lo permettesse) dalla incriminazione quale reo. Tanto che, quando l’immunizzazione fosse sfacciata, si perveniva alla soluzione per cui, consumato il reato (di rapina di estorsione di sequestro di persona di altro), poiché la consumazione sarebbe stata apparente (in quanto il suo effetto sarebbe stato neutralizzato dai colleghi del provocatore opportunamente appostati a vigilare la escursione del reato e pronti all’arresto degli esecutori), il reato (delitto) sarebbe stato non più che tentato. Con seguente mitigazione della pena per il provocatore.
Or bene, sarebbe punibile il provocatore (istigatore) del delitto di corruzione della dirigenza regionale e comunale campana, al secolo un ex “collaboratore di giustizia” (com’è noto al servizio incondizionato della istituzione accusatoria nazionale), mobilitato da un organo di informazione (“fanpage”) inopinatamente balzato dalla cronaca del delitto altrui e della altrui inquisizione a quella del delitto e della inquisizione proprii?
Si potrebbe rispondere: l’uomo di “fanpage” ha istigato alla commissione di un reato, la istigazione è stata accolta (come dai video teletrasmessi nazionalmente) ma il reato non è stato commesso: per art 115 cp, cennavasi, non sarebbe punibile.
Dunque la cronaca dell’autoreato autoinquisito, inviata zelantemente dal “direttore” di quel media (un ometto nervoso solcato da occhiaie psicotiche che ne disegnano l’anima) è l’exploit di un malvagio, non di un malfattore?
La questione è complessa.
La istigazione al delitto di corruzione non corrisponde alla istigazione in genere (la cui punizione, oltre l’accettazione, ripetesi, esige la commissione di un reato). Essa è una istigazione in specie, è quella di cui all’art 322 cp, punibile in sé anche se non accettata (punibile diversamente secondo che sia istigata attività ufficiale conforme o contraria ai doveri di ufficio).
Dunque già per ciò sarebbe punibile l’uomo di “fanpage”ed i suoi sostenitori (l’intera redazione? Certamente il suo “direttore”).
Ma la punibilità della istigazione non accettata, dipende dalla punibilità della istigazione accettata, fatta di dazione o promessa di denaro o di altra utilità, che avviano il fatto di corruzione (impropria o propria, cioè conforme al dovere di ufficio o difforme da esso – artt 318, 319 cp – antecedente, solo la prima, antecedente o susseguente, la seconda), che punisce corrotto (disp citt) e corruttore allo stesso modo (più che se questi fosse stato istigatore mero respinto).
Ed è da escludersi la punibilità della istigazione accettata, perchè:
il collaboratore di giustizia, con i suoi complici, non aveva dietro sé alcuna impresa di smaltimento di rifiuti. Era un puro simulatore. I dirigenti regionali non avrebbero potuto, quindi, compiere attività d’ufficio. La corruzione era impossibile, ex art 49.2 cp, per inidoneità della azione del corruttore e del corrotto.
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