“Non mi faccia incazzare, metta 6, chi è che comanda? S’inginocchi“: la voce perentoria, la mano sinistra minacciosamente indirizzata verso il capo del docente.
Dalla critica culturale della figura (anni settanta dello scorso secolo), collettiva politica teoretica costruttiva, al suo vilipendio teppistico, individuale istintivo, distruttivo d’essa (“chi comanda qui, s’inginocchi“), e della sua funzione estimativa (“metta 6“). L’involuzione e’ palese, insieme alla regressione del discente, sintetizzata nel suddetto, ad una condizione prescolatica, preintellettuale precivile, non dissimile simbolicamente da quella che dette fuoco alla “biblioteca di Alessandria”, come alle gazzette delle leggi della repubblica (che confusero “Calderoli”).
Imboccata la strada della risposta giuridicamente punitiva – quella disciplinare, spettante alla autorita’ scolastica, quella risarcitoria spettante all’offeso, quella penale, spettante al procuratore della repubblica – , anziche quella della esposizione mediatica fissa, di accaduto e autore, a mo’ di gogna, e di sollecitazione dell’esposto a “revisione” e introspezione critiche:
quella penal riporta che sarebbe avvenuta “violenza privata” (reato “contro la persona”, di chi con violenza o minaccia la costringa a fare non fare tollerare alcunche’: art 610 cp); e avvenuta minaccia (reato in art 612 cp, verosimilmente da assorbire nell’altro).
Mentre la stima dell’accaduto avrebbe potuto essere altra, piu’ prossima a quella socioetica apparsa sui media. Perche’, da un lato, il docente umiliato era un agente pubblico, incaricato di pubblico servizio sempre, talora pubblico ufficiale (quando ad esempio esplichi funzione valutativa del merito del discente) . E, quindi, le sue erano qualità e attività pubbliche. Da altro lato gli si intimava, con violenza e minaccia, un atto del suo ufficio, contrario ai doveri di questo (“metta 6” immeritato) E, aggregati, quegli elementi avrebbero dato un “delitto contro la pubblica amministrazione”, non “contro la persona”, di violenza a pubblico ufficlale per costringerlo a compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio (art 336 cp).
Tutt’altro ( o almeno anche altro) valore, come si vede, rispetto al suddetto.
Che tuttavia non ha semplicemente mancato questo, ma, verosimilmente, lo ha disconosciuto.
Lungo una scia culturale che, nella miriade di agenti pubblici del Paese, taluni sconciamente privilegiati anche in termini di potere materiale sull’altro (e dinanzi al quale quel genuflettente si sarebbe genuflesso), pone il docente, benche’ primo fattore della conoscenza universale, della evoluzione culturale (primo benefattore, letteralmente, col medico che lavora sul corpo, del Paese), scandalosamente al di fuori del rango sociopolitico che gli spetterebbe. Lo disconosce, anzi lo discrimina.
Lungo quella scia si è mosso, emblematico e sedizioso, “l’alunno” (titolo di un celebre film sulla formazione del nazista).
P.Diaz