1. Alle elezioni 2018 per la presidenza della repubblica federale del Brasile, cui partecipa, candidato dalla estrema destra, il capitano dell’esercito brasiliano di origine italiana, Jair Messias Bolsonaro, partecipa anche Luiz Inàcio Lula da Silva, candidato dalla sinistra popolare e lavoratrice (partido dos Trabalhadores, già al governo dal 2003 al 20011), che è ritenuto in vantaggio da quasi tutti i sondaggi.
Senonchè, a malgrado d’essi, la presidenza è conseguita da Bolsonaro. Come mai?
È accaduto che, poco prima del confronto elettorale, Lula è estromesso, arrestato con accusa di corruzione (la sua candidatura sarà assegnata ad un altro del medesimo partito, invano).
Chi lo ha arrestato?
Tale Sergio Moro, giudice di prima istanza a Curitiba ( che vanta di ispirare la sua opera, di bonifica del ceto politico dalla corruzione, all’italiano Antonio Di Pietro…).
Di che sarebbe consistita la corruzione?
Lula avrebbe avuto in dono un appartamento al mare ( primo processo) e in dono la ristrutturazione di un appartamento in campagna per 30 mila euro ( secondo processo).
Egli si dichiara innocente e non solo obbietta la mancanza di prove, ma adduce prove della infondatezza della accusa. Mostranti che l’appartamento al mare mai fu suo, ma della società “corruttrice”. Al pari dell’appartamento in campagna, in proprietà di un amico.
D’altronde, a siffatte prove, l’accusa oppone non altro che, Lula, sarebbe stato visto una (!) volta entrare nell’appartamento al mare, e varie volte entrare in quello in campagna ( non in visita all’ amico?!).
Lula nondimeno sarà, in seguito, condannato a dodici anni di reclusione in ciascuno dei processi. E sarà tenuto in stato di arresto.
2. Formatosi il governo brasiliano, improvvisamente vi compare il giudice S. Moro quale ministro della Giustizia.
Bolsonaro e Moro non han voluto (nemmeno) prevenire l’inevitabile sospetto che si fossero scambiati i favori della elezione alla presidenza e della nomina a ministro della giustizia, apprestando l’arresto di Lula? Evidentemente.
Ma allora, per tanto audace indifferenza a quell’elementare cautela ed alla credibilità dello scambio, è assai probabile che siano stati capaci di questo, e di un retrostante complotto in danno di Lula.
D’altronde non erano in gioco soltanto vanità e privilegi personali. In gioco erano anche, e anzitutto, il confronto, e la vittoria, politici, fra la sinistra popolare e lavoratrice e la destra della specie più determinata, militare, violenta.
Dal nazionalsovranismo talmente morboso da eccitare Bolsonaro ad avanzare, in Consesso ONU:
l’Amazzonia non è patrimonio dell’umanità, l’ Amazzonia è del Brasile (che sta per: è mia, con ogni sua specie vegetale animale umana, indigena, prossima all’incenerimento fra i roghi che divorano la Foresta).
Egli (!), capitano dell’esercito brasiliano istruttore e cultore di “educazione fisica” , nemmeno Generale né colonnello, a differenza dei suoi – immediati e mediati- predecessori al vertice del più sanguinario mattatoio dell’ umanità soggetta, che nel secolo passato sia stato in America Latina.
3. Senonchè, ciò che era apparso assai probabile (scambio di favori fra i due e complotto contro Lula) oggi pare certo.
Per quanto riferito in cronaca (da A. Nocioni: giu. 2019), il sito americano The Intercept (diretto dal giornalista statunitense Gleen Greenwald), è entrato in possesso di alcune intercettazioni di conversazioni fra i magistrati dei processi a Lula, le quali segnalano che questi, sovraintesi da S. Moro, lanciando l’operazione Lava Jato (Autolavaggio) avrebbero cospirato e agito per impedire la vittoria della sinistra sulla destra, alle elezioni suddette.
Le conversazioni espongono collusione e concerto fra accusatori e giudice (S. Moro), ammissioni in privato, da quelli, della mancanza di prove delle accuse; l’ “abuso politicizzato dei poteri della magistratura” e ” una motivazione politica e ideologica a lungo negata” (commentano i giornalisti inquirenti).
Nelle conversazioni tra S. Moro ed il coordinatore della pubblica accusa Deltan Dallagnol, oltre innumerevoli scambi di informazioni su quanto essi facessero, appaiono direttive del primo al secondo, su cosa dovesse fare e non fare; su come colmare le lacune probatorie, correggere strategie ed errori. E risuonano esultanze per il successo mediatico e le ricadute politiche dell’inchiesta: “complimenti a tutti noi” (per la decapitazione del partito di Lula nella competizione elettorale etc.)
4. La legge brasiliana vietava al giudice siffatte intromissioni nella formazione accusatoria dell’oggetto del suo futuro giudizio.
Tanto che l’art 254 del codice processuale brasiliano consente ai condannati per esse, di qualificare il giudice “sospetto di non essere imparziale».
E di chiedere l’annullamento della condanna.
5. Ciò che la difesa di Lula ha iniziato a fare, contro il giudice che si ispirava ad Antonio Di Pietro….