OMICIDIO MEDIANTE SUICIDIO (e viceversa)?



1. Da qualche tempo, una prassi giudiziaria esaltata  dalla “Suprema Corte”   impone all’operatore di  raccapezzarsi  con  l’ antilogia nel titolo. Tale,   perchè:

l’omicidio, cagionativo della morte dell’altro da sé,   comportamento letifero transitivo e irriflessivo,  è all’opposto del suicidio, cagionativo della morte di sé, a comportamento  intransitivo e riflessivo!

Dunque la fusione (strumentale)  di entrambi,  è antilogica.

1.1. Ed  impone, quella prassi,  di raccapezzarsi con l’ antinomia nel titolo. Tale perchè:

l’omicidio (di cui  agli artt 575 584 589 cp, oltre altri, e oltre tutti in casi di evento morte quale conseguenza di altro delitto..), è  fatto e fattispecie,  giuridici,  altro dal suicidio  (di cui all’art 580 cp..). 

Dunque la fusione (giuridica) di entrambi è antinomica. 

1.2 E la fattispecie (giudiziaria o dottrinale)  che richiamasse uno d’essi non potrebbe fonderlo  giuridicamente con l’altro. Anche perché, rispetto ad essa, essi ne sarebbero “elementi normativi”, solo richiamabili, immodificabili e tanto meno sopprimibili in quanto tali. Da evocare ed esporre pedissequamente, cosi come siano (anche per il principio di “stretta legalità”, per cui,  quando in qualsiasi  contesto linguistico -comunque orientato finalisticamente-  sia evocato una fatto giuridico, questo  si trae intero dall’involucro della relativa  fattispecie).


2. Pertanto,  la suddetta prassi, esaltata dalla “Suprema Corte” ,  impone all’operatore di dar vita all’assurdo. Come se niente fosse, e, anzi, come  se gli fosse concesso dI violare logica e diritto, di sguazzare nella dileggio del  principio di non contraddizione.


2.1 E così, particolarmente  in ambito medico o infermieristico, quando taluno,  sfuggendo  repentino al controllo, si suicidi, ai sanitari è rivolta l’accusa di “omicidio colposo”. Ex  art. 589 cp, talvolta adornato dall’art 40.2 cp ( “non impedire un evento,  che si ha l’obbligo giuridico di impedire,  equivale a cagionarlo”).
Che, tuttavia,  non distoglie l’accusatore  dall’usare il verbo  “cagionare” (“ha cagionato”) in senso proprio, materiale; mentre dovrebbe usarlo in senso improprio,  quale equivalente normativo. Perché, altrimenti, egli raffigura, in sostanza,  una fattispecie commissiva, in luogo della debita  fattispecie “commissiva mediante omissione”!.

Ed è rivolta, si diceva,   l’accusa di omicidio colposo, tout court, senza aggiunta, ovviamente. Bene attenta ad essere reticente,   a non esporre il fatto nella sua interezza: omicidio mediante suicidio. Perché ciò  tradirebbe l’antilogia e l’antinomia.  Cioè che  l’omicidio sarebbe commesso  mediante suicidio ( e viceversa)!

2.2 Mentre è certo che non si dia morte ad un altro suicidandolo, come è certo che non si dia morte a sé  omicidandosi.

Ripetesi, ci si suicida mediante  omicidio tanto quanto ci si omicida mediante suicidio! Neppure mentalmente.
 Altrimenti,  si apporterebbe  non solo il suddetto tradimento, ma l’autofagia stessa dell’accusa. Giacchè – fatalmente risultando, in processo, che la morte è derivata da suicidio, non sussisterebbe  omicidio!

Ma incidentalmente:

2.3 Eventualità, questa, che tuttavia, estranea,  come detto.  alla prassi esaltata  dalla “Suprema Corte” (che più volte ha condannato per omicidio chi abbia avuto a che fare con un suicidio;  e non una volta, che qui  si sappia,  ha assolto adducendo l’assurdo sopra visto)-, invero,  tacitamente appartiene ad una  prassi ignorata dalla “Suprema Corte”.
Quella che mai ha accusato chi abbia avuto a che fare con  i suicidii in carcere (settanta ad anno in media!). A che fare con essi, mediante comportamenti in nulla (se non in maggiore induttività) differenti  da quelli dell’altra prassi.  

Ebbene
Tanta  (con)fusione antilogica,   antinomica,  di fatti e fattispecie; e della mente giudicante, perché  è sorta?

3. La  prassi (in parola) annovera comportamenti (per lo più omissivi: di sedazione di controllo di contenzione; ma anche commissivi, di  erroneo trattamento terapeutico) riconducibili tutti, oggettivamente,  ad agevolazione (art 580.1 cp) del   suicidio. Cioè  ad atti di “aiuto” (art. 580.2)  materiale – differenti ovviamente da quelli,  morali (di determinazione del suicidio o di rafforzamento del suo proposito), che necessariamente presuppongono il loro indirizzamento alla induzione del suicidio- .

Onde,  quando  essi rinvenisse, l’accusa non potrebbe che orientarsi a contestare l’agevolazione al suicidio.
Tutt’altro che l’omicidio (!),  perché,  quelli, sono comportamenti esclusivamente interni alla fattispecie (oggettiva e soggettiva) del suicidio.
E d’altronde,  come si diceva, non si ha omicidio mediante suicidio.

Ma se l’accusa così (come dovuto) si orientasse, quando  i comportamenti non risultassero dolosi ( e negli ambiti operativi sopra indicati non risultano),  essendo imputabili, ex art 42.2 cp esclusivamente a titolo di dolo,  non potrebbe incalzare l’accusato.
Si dovrebbe fermare, e dirigersi verso la propria archiviazione: perché il fatto non è preveduto dalla legge come reato.  

3.1 Assolutamente. Irrefragabilmente.

Pertanto

4. Appare in chiara luce di che cosa sia capace taluna  prassi,  condannatoria a qualunque costo.

Al costo di antilogie e antinomie non timorate dell’assurdo più eclatante.  

E perfino al costo di creare fattispecie colpose, di illecito doloso, inesistenti.


Pietro Diaz



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