O meglio, che pretenderebbero ad averla nei decreti legge “autorizzativi” d’essi – un ’aberrazione giuridica istituzionale e politica di proporzioni non inferiori a quella della autorizzazione dei dpcm dai decreti legge (su questa vd, per quanto qui non detto, volendo,http://www.giustiziarepubblicana.org/?s=provvedimenti+governativi….).
In pratica, il decreto legge allestirebbe la sanzione (amministrativa), ma non la posporrebbe ad un precetto (benchè nella teoria giuridica della “fattispecie precettiva”, “protasi e apodosi” – alias precetto e sanzione- siano inseparabili e in sequenza!).
La anteporrebbe ad esso, e non ad un precetto coesistente e contemporaneo (pur non in sequenza, ma dalla sanzione intercettabile ), ma futuro, di là da venire, ignoto ad essa (e, il più delle volte, perfino al precettore!).
Ciò che, invero, non è fenomeno del tutto sconosciuto dall’ordinamento, che contiene la (pur discussa) “norma in bianco” (nel precetto); dove la sanzione attende che il precetto sorga, per servirlo.
Ma è fenomeno, questo, molto particolare, perché raffigura attese, dalla sanzione, di provvedimenti accidentali e individuali (vd ad esempio l’art 650 del codice penale).
Laddove i dpcm sono “provvedimenti” sistemici e generali (seppure temporanei).
Inoltre, le sanzioni delle norme in bianco attendono provvedimenti (per lo più ) non tangenti diritti soggettivi (a tutela ordinaria o costituzionale), Laddove i dpcm proprio questi eleggono ad oggetto!
Cosicchè, potrebbe dirsi che il fenomeno (in parola), in definitiva, era ignoto all’ordinamento, fino all’avvento di Conte, con i suoi dpcm puntati a regolare (non la nazione ma, direttamente) la popolazione, a disciplinarne la vita e perfino l’esistenza.
“Provvedimenti” autorizzati e sanzionati da sé medesimo, nell’occasione mimetizzato dai suoi ministri raccolti in Consiglio!
Ma comunque.
Perché l’aberrazione è macroscopica?
Nello Statuto dell’illecito amministrativo (L. 689/ 81) siede una disposizione, la prima, rubricata “Principio di legalità”, la quale proclama che “nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione”. Ed aggiunge che “le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati”.
Da cui si desume (anche per solenne declamazione della rubrica):
1. Che la madre dell’illecito amministrativo é la legge, l’ atto parlamentare avente forma valore e forza di legge; inconfondibile insostituibile infungibile (perché assegnatario di materia ad esso assolutamente riservata) da ogni altro atto normativo, pur se dotato di forza di legge ( il decreto legge e il decreto legislativo, che la riserva assoluta comunque relativizzerebbe).
Ciò checchè se ne sia detto dagli (innumerabili) complici della attività legiferativa del Governo in vece (non solo tecnica ma sociopolitica e istituzionale ) del Parlamento; o dai tolleranti essa (ultimo il Prof. Flick in una recente propalazione a mezzo stampa, che non avrebbe a ridire sul decreto legge, l’erede del Regio Decreto del 1926, già ignoto al coevo Statuto “Albertino”, con il quale il governo Mussolini si arrogherà il potere legislativo!).
2. Che la legge madre plasma l’illecito nella sanzione (comma 1 dell’art. 1). Ma anche nel precetto (comma 2 dello stesso), nei “casi” e “tempi” (della sua efficacia).
3 La illegittimità (costituzionale) dei decreti legge (n.n. 19, 33, 2020) che hanno ammannito sanzioni amministrative: senza che ne avessero il potere normativo, riservato alla legge. Senza nemmeno averle accoppiate a precetti.
E avendo, per di più, affidato la formazione di questi ad atti amministrativi del presidente del Consiglio dei ministri (dpcm). Quando non a ministri (ordinanze). Quando non ( sia pure in chiave modulatoria) a Presidenti di Regione o di Province (autonome) o a Sindaci!
4. Per giunta, mettendo in croce i destinatari dei precetti e della sanzione, tuttavia inespressa!.
Questione assai insidiosa.
Perché lo statuto (ovviamente autonomo da ogni altro, anche da quello penale) dell’illecito amministrativo, quanto a rilevanza esimente della ignoranza di ( o dell’errore su) esso, ha una disposizione, in art 3, per la quale “nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l’agente non è responsabile quando l’errore non è determinato da colpa”. Disposizione che, mentre dà rilievo all’errore sul fatto, non ne da all’errore sulla legge (dà quindi rilievo, è da supporre, all’errore di fatto non di diritto). Per di più, sembra dare rilievo alla sua parte precettiva (che descrive il fatto), non a quella sanzionatoria.
E comunque, la diposizione pare indifferente sia alla scusabilità che alla inescusablità dell’errore.
Pare interessata solo alla sua indipendenza da “colpa”.
Che, quindi. potrebbe essere anche lieve, anche lievissima. E, sebbene tale, non esimere da sanzione.
Realtà assai insidiosa, come si vede.
pietro diaz
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