1. La singolarità dell’accaduto, la beatificazione papale (addì 9 05 2021), di un magistrato “antimafia”, non può non andare in cerca, subito, delle cause e degli effetti, se non dei fini, d’essa; per capire se il contesto cui il Beato è appartenuto, olente teofilia, si sia imbevuto di teologia.
Ciò in uno sfondo di Chiesa che ha assunto (con la beatificazione) una funzione dello Stato, così combinandosi a questo, sebbene siano stati separati (art 7 Cost).
E lo siano stati per non confondersi, nemmeno per la via del culto.
E, comunque, perché non paia (nemmeno alle credenze popolari) che la magistratura eserciti nel nome di Dio, anziché nel “Nome del Popolo” (art. 101 cost).
2. All’origine (dichiarata) del pesantissimo (per la civiltà giuridica) accaduto, stanno ispirati scritti e misteriosi acronimi (ritornanti nelle agende del dr Rosario Livatino, “ucciso dalla mafia” il 21 settembre del 1990).
Tra i primi il seguente:«L’indipendenza del giudice, infatti, non è solo nella propria coscienza, nella incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrifizio, nella sua conoscenza tecnica, nella sua esperienza, nella chiarezza e linearità delle sue decisioni, ma anche nella sua moralità, nella trasparenza della sua condotta anche fuori delle mura del suo ufficio, nella normalità delle sue relazioni e delle sue manifestazioni nella vita sociale, nella scelta delle sue amicizie, nella sua indisponibilità ad iniziative e ad affari, tuttoché consentiti ma rischiosi, nella rinunzia ad ogni desiderio di incarichi e prebende, specie in settori che, per loro natura o per le implicazioni che comportano, possono produrre il germe della contaminazione ed il pericolo della interferenza; l’indipendenza del giudice è infine nella sua credibilità, che riesce a conquistare nel travaglio delle sue decisioni ed in ogni momento della sua attività».
Scritto che oltre l’emettere messaggi morali (dal giudice a colleghi, forse riconoscibili), auspicanti oculate “relazioni ….e manifestazioni nella vita sociale….amicizie”; e deploranti “desiderio di incarichi e prebende…che possono produrre il germe della contaminazione…” ;
lì dove colloca (e connota) la “indipendenza del giudice” nella “propria coscienza…libertà morale….fedeltà ai principi…capacità di sacrifizio…”; e ancora “nella sua moralità..credibilità…nel travaglio delle sue decisioni…”;
li è ben lungi dal raffigurare il giusdicente, il declaratore del diritto oggettivo, colui che fedelmente lo esprima, che non abbia “ coscienza… libertà morale… principi…. moralità… credibilità”, che non siano in quello.
Come nel diritto penale (ove ha operato Livatino), che con la tassativita’ enunciativa delle sue formulazioni (legali), prelude e dispone la tassativita delle sue manifestazioni giudiziarie.
O nel diritto procedurale, prefigurante esattamente ogni gesto (inquisitorio istruttorio cognitorio decisorio) del magistrato, del quale, quindi, preassume il “travaglio”, di cui lo sgrava.
2.1 E dove, peraltro, il giudice non è che uno dei soggetti operanti, ed il meno agente (svolgente iniziative istruttorie), perché (quasi) solamente giudicante e decidente delle altrui attività processuali.
Ed anche ciò secondo norme prestabilite, che nulla affidano alla sua “coscienza” (mentre pretendono che di esse abbia coscienza), che nulla affidano alla sua “libertà” (se non l’accettazione dell’investitura), e nulla affidano alla sua “moralità” e “credibilità” se non la estrinsecazione delle loro.
D’altronde, e’ soggetto al diritto (art 101 Cost), quindi, è soggetto del diritto, funzionalmente composto non d’altro che di esso ed in esso esauriente interamente sè stesso.
Onde la sua “indipendenza” da ogni altro potere (art. 104.1Cost.), si attua nella dipendenza completa dal diritto, che perciò egli applica non crea, che dichiara non forma.
D’altronde, essendo diritto del popolo, non suo, intestato al popolo non a lui.
E d’altronde, esercitando il giudice sul popolo in nome del popolo, non potrebbe non essere soggetto al popolo (riassunto) in parlamento.
3. Quindi, nello scritto suesposto, si compie trascendenza dalla funzione giurisdizionale, levitazione oltre, sopra il diritto, e sopra il popolo (se non si compia ascesi mistica).
Tuttavia inammissibili, anzi impensabili, in qualunque pubblico funzionario.
E che se si espandessero (taluno, all’ultima celebrazione del Beato, ha auspicato la moltiplicazione di “Livatino”), comporterebbero trascendenza, del potere, più che “autonomia”.
E, quindi, teologia della sua meditazione ( con possibilità di teocrazia, della sua decisione).
4. L’autonomia, peraltro, la connota un altro scritto del giudice:
(I magistrati) “devono, nel momento del decidere, dimettere ogni vanità e soprattutto ogni superbia; devono avvertire tutto il peso del potere affidato alle loro mani, peso tanto più grande perché il potere è esercitato in libertà ed autonomia».
E se autonomia, lì, è autogenesi del diritto, in piena “libertà”, e fatale che, la relativa coscienza e volontà, infondano sentimento di alterità, ulteriorità, superiorità, all’ordine giuridico dato. E di ascesa al divino.
4.1 Lo espone luminosamente un altro passo dello scritto appena richiamato :
«Il compito (…) del magistrato è quello di decidere; (…): una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. (…).Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è.. realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di se’ a Dio. Un rapporto indiretto per il tramite dell’amore verso la persona giudicata”.
4.2 Ma lo dice più minuziosamente un acronimo, rinvenuto in fondo alle sue agende (nel senso delle faccende, delle cose da fare e delle cose fatte, delle “operazioni” del “giudice ragazzino”, secondo la definizione, apologetica per contrasto, che di lui volle darne, si dice, il “prof. Nando Dalla Chiesa”), una sigla misteriosa, “s.t.d.”. che gli inquirenti sulla sua morte stentarono non poco a decifrare; il significato era:
sub tutela dei, per volontà di Dio.
5. Quanto sopra esposto:
E’ spiegato perché, già il 19 luglio del 2011, sia stato firmato dall’arcivescovo F. Montenegro il decreto per l’avvio del processo diocesano di beatificazione di Rosario Livatino.
E perché già il 21 dicembre 2020 Papa Francesco con un decreto ne riconobbe il martirio in odium fidei.
Ma è spiegato anche perché, ad un potere secolare dello Stato laico repubblicano e democratico, accada di divineggiare.
pietro diaz