Sentenza storica in Germania: se il carcere non è dignitoso, il detenuto va liberato
A proposito di diritti
Patrizio Gonnella*La Corte Costituzionale tedesca, con una sentenza storica, obbliga le autorità penitenziarie del Paese a rilasciare un detenuto qualora non siano in grado di assicurare una prigionia rispettosa dei diritti umani fondamentali. Si tratta di una decisione giudiziaria che rovescia una giurisprudenza precedente molto più cauta e che nella gerarchia dei valori costituzionali ritiene di anteporre il valore della dignità umana a quello della sicurezza.
Il caso riguardava un detenuto originario del Nord-Reno Westfalia. Costui era stato rinchiuso durante la sua carcerazione per 23 ore su 24 in una cella di 8 metri quadri con annessa toilette non separata da alcun muro divisorio. Il detenuto doveva condividere lo spazio con un’altra persona; per cui ognuno di loro aveva a disposizione solo 4 metri quadri, bagno compreso. In quelle condizioni c’era stato 151 giorni. Gli era consentito farsi la doccia solo 2 volte alla settimana. Inoltre, la persona con cui condivideva la cella era un fumatore e ciò, a dire della Corte, aggravava la qualità della vita.
Il sistema penitenziario tedesco è organizzato su base federale. La Regione – alla quale egli aveva fatto ricorso – gli aveva dato torto. La Corte Costituzionale federale gli ha invece, lo scorso 9 marzo, dato ragione. Secondo i giudici supremi tedeschi non si può vivere in meno di 6-7 metri quadri.
Se lo Stato non è in grado di assicurare una simile minima condizione detentiva allora dovrà in extrema ratio rinunciare alla punizione e liberare i detenuti in surplus rispetto agli spazi disponibili. Di conseguenza i detenuti che vivono in condizioni simili a quelle descritte potrebbero richiedere l’interruzione, oppure il rinvio della pena.
La decisione tedesca – più radicale nei contenuti rispetto ad analoghe prese di posizione di corti nazionali di altri paesi – di fatto apre la via alle liste di attesa penitenziarie che già sono state realizzate in altri paesi del nord Europa.
Il governo norvegese, oramai 25 anni fa, così intitolò il piano di edilizia penitenziaria “ridurre le attese per scontare la pena”. Era ovvio per il governo scandinavo non incarcerare persone alle quali non potesse essere assicurato un posto letto. Le liste di attesa per detenuti sono un’invenzione norvegese. Se non c’è posto in carcere si aspetta a casa che il posto si liberi.
Poi sono arrivati il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e la Corte europea sui diritti umani a fissare gli standard ineludibili di vita penitenziaria, tra cui i metri quadri che ogni detenuto deve avere a disposizione affinché lo Stato non incorra in trattamenti inumani e degradanti.
I giudici di Strasburgo hanno nel luglio del 2009 condannato l’Italia perché nel caso Sulejmanovic (detenuto di origine bosniaca) aveva costretto un prigioniero a vivere in meno di 3 metri quadri e ciò secondo i giudici europei costituisce una ipotesi di violazione dell’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani del 1950 che proibisce la tortura. Da allora centinaia sono stati i ricorsi presentati alla Corte che da un momento all’altro dovrebbe iniziare a decidere a riguardo.
D’altronde la Germania – ove è stata presa una decisione che ben può essere definita epocale – ha un tasso di affollamento inferiore al 90%, ossia ha più posti letto che detenuti. L’Italia è messa molto peggio: ha un tasso di affollamento che sfiora il 150%. In Europa siamo superati solo da Bulgaria e Cipro. Anche per questo è stata avviata dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, presieduta da Pietro Marcenaro, una indagine conoscitiva sulla situazione delle carceri in Italia. Martedì scorso sono iniziate la audizioni.
*Articolo pubblicato su Italia Oggi
18 marzo 2011
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