1. Se una metà (circa) dell’elettorato si è astenuta dalla elezione (del Consiglio Regionale, del Presidente della Regione e, per suo tramite, della Giunta Regionale), se ciò significasse indifferenza ad essa (o rimessione, di quella metà, all’atto elettivo dell’altra metà), od ostilità ad essa (passiva, in attesa della manifestazione di una essenza politica ritenuta negativa, o attiva, per contrapposizione, strategica, dell’“astensionismo” all’“elezionismo”), ciò, comunque, implica dimezzamento della rappresentanza della popolazione nel potere legislativo e amministrativo regionale.
Rispetto ad essa, il potere diviene anche tecnicamente autocratico, non “democratico”.
E la (eventuale) permanenza di questa condizione, da permanenza della astensione, comporta strutturalità della autocrazia “in democrazia” (peraltro, compiutamente svolto, l’autocratismo, nelle sue potenzialità di antidemocrazia, nelle derivanti espressioni socioeticogiuridiche, genererebbe a sua volta astensionismo, che, a sua volta, genererebbe autocratismo. In un circolo vizioso che si riaprirebbe alla politica democratica solo se interrotto).
1.1 La rimozione d’ essa potrebbe seguire due modi:
la valorizzazione elettorale della astensione, mediante imposizione di un “quorum” di partecipazione alla elezione, per la sua validità giuridica (ciò che, tuttavia, limiterebbe ma non escluderebbe l’autocratismo);
o, più radicalmente, la autorappresentanza del popolo, con attribuzione a questo, in assemblea (anche diffusa nel territorio ed opportunamente “organizzata”), del potere suddetto: la eventuale “astensione” avrebbe valore deliberativo.
1.2 Questo radicalismo, peraltro, non sarebbe maggiore di quello dell’autocratismo “in democrazia”… D’altronde, la mestierizzazione della “rappresentanza politica”, la sua burocratizzazione, la derivazione partitica e la strumentalità, d’esse, al partitocratismo più sfacciato, negano a priori la “democrazia rappresentativa”.
Tanto che la graduano e la limitano all’occorrenza (al crescere dell’autocratismo sul democratismo e viceversa).
2. La legge elettorale ne è il mezzo.
Se meno della metà dei voti (validamente) espressi dall’elettorato (peraltro, come detto, dimezzato) ha dato, al primo schieramento, (ben) più della metà dei seggi al Consiglio (col 41 % circa dei voti ha avuto il 60% dei seggi: 36) e la Presidenza della Regione ed il diritto di formazione della Giunta;
se una quantità di voti appena inferiore a quella (il 39% circa) ha dato, al secondo schieramento, soltanto il 40% dei seggi in Consiglio (24);
se quasi il 10% dei voti, al terzo schieramento, ha dato alcun seggio (tanto meno ad ogni altro seguente); allora:
la presenza popolare del primo schieramento è minore di un terzo del suo potere consiliare e giuntale (ed è detta “maggioranza”…);
la presenza popolare del secondo schieramento è maggiore di un terzo del suo potere consiliare (ed è detta “minoranza”);
la presenza popolare del terzo schieramento è nulla in quel potere.
2.1 E ciò, benchè i voti degli elettori siano “egual(i)” per previsione statutaria (art. 1.1 L. n.1/ ‘13), cioè egualmente ( e proporzionalmente) conferenti al potere regionale.
Benchè, quindi, la (dis)misura della distribuzione di esso fra i due schieramenti, la esclusione da esso del terzo schieramento e di ogni altro, sia antistatutaria (e anticostituzionale, se lo Statuto, per art 3.1, sta “in armonia” con la Costituzione e questa, all’art 48.2, dispone la eguaglianza del voto).
E (comunque) benchè gli schieramenti pervenuti al potere totale siano netta minoranza popolare rispetto agli elettori, anzi infima se compresi gli astenuti.
Ma allora:
2.2 siffatto potere regionale in “democrazia rappresentativa”, autocratico per quanto detto (vd sub 1), è, per (apposita) legge elettorale, oligocratico ( e partitocratico, se, esso, deriva essenzialmente dal doppio “partito-stato”: PD e Forza Italia, infeudatore della burocrazia statale, militare paramilitare e civile, e, ora, di quella regionale).
E poichè, per ciò, “autoreferenziale”, esso è, in fine, (potenzialmente) dittatoriale.
3.D’altronde, la sua costruzione elettorale è più fascista o parafascista di quella mussoliniana e degasperiana. Di fatti.
All’alba del fascismo, la legge elettorale n. 2444/’23 (“Acerbo”) che disponeva il “maggioritario” con “premio di maggioranza” , in abrogazione delle leggi elettorali n. 1985/’18, 1401/’19 , che avevano disposto (dopo il “maggioritario della legge n. 666/’12, vigente dal 1891) il “proporzionale puro” (portando al potere parlamentare il partito socialista italiano ed il partito popolare), omise, comunque, di disporre “clausole di sbarramento” delll’accesso, dell’elettorato, al potere parlamentare.
Al tramonto dell’antifascismo, la legge elettorale n 148/’53 (“legge truffa”), che ridisponeva il “maggioritario” con “premio di maggioranza”, in abrogazione della legge n.6/’48 (veniente da Dlgs lgt n 74/’46 che aveva reintrodotto il “proporzionale puro”), omise (anch’essa) di disporre “clausole di sbarramento”.
Certamente bene intendendo, esse, che “le clausole di sbarramento” davano di per sé un “premio di maggioranza” (per sottrazione).
3.1. Le leggi fasciste o parafasciste, dunque, si astennero dall’introdurre il doppio “premio”, si contennero ad uno (quello per addizione).
E comunque lo fecero con discrezione, in materia sentita nevralgica, se, la prima, assegnava il “premio” al partito che avesse ottenuto, in voti non meno del 25%, la seconda più del 50% (questa non durerà un anno, e, anzi, la sua applicazione ne punirà severamente i promotori: la Democrazia cristiana non raggiunse la “soglia”, ed i partiti manutengoli si pentirono assai, elettoralmente, d’esserlo stati: espieranno lungamente con la legge elettorale, nuovamente proporzionale in entrambe le Camere -sostanzialmente al Senato- del TU n 361/’57 (seguente la legge n 6/’48 veniente da dlgslgt.n74/’46).
4. Mentre la legge elettorale regionale, “maggioritaria” con esazione del “premio di maggioranza” a soglie ben più “favorevoli” di quelle della “legge truffa”, ha ordito anche le “clausole di sbarramento” (dell’accesso al potere regionale), così riscuotendo due premi di maggioranza.
5. Siffatta omologia alle leggi elettorali fasciste e parafasciste addirittura sopravanzate in caratterizzazione autocratistica, induce a meditare se, essa, non sia anche omologia politica; e, posto che proviene da un potere regionale di matrice berlusconiana (inseminata, a suo tempo -L 43/’95- da una idea elettorale del protofascista Tatarella, che inizio ad insidiare il modello elettoralò nazionale partendo dalle regioni “ordinarie” e passando poi ad alcune “speciali”), (meditare) se, essa, non sia omologia alla politica del “ventennio” berlusconiano (qui assunto come il secondo, fascista o parafascista, dopo quello mussoliniano).
D’altronde, è all’alba di una “seconda repubblica” (disfatta la prima “per via giudiziaria”…), ripopolata da “destre” formali e informali grondanti neorazzismi paranazismi parafascismi bellicismi interni (“scuoladiaz”) ed esteri (Irak, Libia), piduismi, al seguito del Faccendiere della perversione della democrazia in plutocrazia, dello Stato costituzionale in Stato personale…. (è in quell’alba) che, il secondo “ventennio” prende a nascere, insieme alla legge elettorale “maggioritaria” (nn 276, 277/’93 “mattarellum”, al seguito del refendum Pannella-Segni del 18 04 1993): dapprima sotto la (gentile) spoglia dei collegi uninominali (uno prende tutto..) ad un turno, con “clausola di sbarramento” alla Camera e con indulgenza verso il 25% di proporzionale.
E poco più di dieci anni dopo, allorchè il potere parlamentare del Faccendiere e del Seguito rischia di declinare nella imminente tornata elettorale, sopraggiunge la legge n 270/’05 “porcellum”, “maggioritaria”, con “premio di maggioranza” senza soglia, e “clausole di sbarramento”.
6. Dunque, è omologia alla politica fascista o parafascista berlusconiana, quella della legge elettorale regionale, al pari di tutte le leggi elettorali “maggioritarie” (in vario modo), susseguitesi dalll’insediamento, nel Paese, della “monarchia parlamentare” del Regno D’Italia, del parlamentarismo italiano, contraentesi volta a volta in rappresentatività (e in tradizione in potere politico: “quanti voti tanti seggi”), all’espandersi (da particolare ad universale) del suffragio, con quelle leggi (quali “applicazioni” possano effettivamente avere, “rappresentatività” e ”governabilità”, oggi, principii, dichiarati, d’esse, ora ben si comprende).
6.1. Parlamentarismo, comunque, oltre che contraentesi, dilatantesi, (anche) all’espandersi del suffragio (in rappresentatività ed in traduzione in potere politico), con le leggi elettorali del “proporzionale puro”, omologhe a politiche antifasciste o parantifasciste.
7. Cosicchè l’alternanza di proporzionalismo e di maggioritarismo, elettorali, è pensabile (storicamente, dalla Unità d’Italia), anche, come alternanza di antifascismo o parantifascismo e di fascismo o parafascismo (e, quindi, come alternanza di “sinistra” e di destra, postane, in tesi, la corrispondenza concettuale): viste le regolarità del susseguirsi dei fatti e dei contesti, delle informazioni che trasmettono, delle deduzioni che permettono.
Quindi, è enunciabile che la legge elettorale del “maggioritario” (in vario modo) è fascista o parafascista, è “destra”.
8. Tanto che l’ “Italicum, il ddl elettorale Berlusconi-Renzi (BR lo ha sinistramente apostrofato il socialista Rino Formica), che riproduce, abbrutendolo, il maggioritario del “porcellum”, che, inoltre, lo fa ad eversione della legge costituzionale elettorale appena uscita dalla interpretazione della Corte Costituzionale (sent. n. 1/2014) dicente che, essa, non potrebbe che essere “proporzionale” e “preferenziale”):
viene da un periodo di sospensione (dal presidente della repubblica) e di autosospensione (dal parlamento remissivo), del potere parlamentare di “fiduciare” il Governo….dalla progettazione della soppressione di una Camera…dalla autoinvestitura del potere di formazione e di guida del Governo…da un anticostituzionalismo (anche tecnicamente) golpistico, impressionantemente rimandanti al periodo acerbiano del ventennio mussoliniano (dopo l’anno 1924, di applicazione della “legge Acerbo”, non si terranno elezioni, e, nel 1939, il parlamento sarà sostituito dal Gran Consiglio del Fascismo: un unico listone di quattrocento “nominati”, da chi ne aveva il potere e l’impudenza: stile “porcellum”, e contra senatum, in somma).
Cioè viene da autismo, prima che da autoritarismo, politico, realisticamente definibile neofascista.
Diaz