Quando quasi mezzo secolo fa ho iniziato a far politica, nel 1968, erano due gli slogan che mi appassionavano di più. Il primo era semplice: “Vietnam rosso”. Il secondo – sempre di due sole parole – ancora più semplice: “Vietato vietare”. Il primo di questi due slogan non aveva niente di utopistico. E dopo circa sette anni si realizzò. Il secondo slogan veniva dalla Francia: “Il est interdit d’interdire”. Ma fu tradotto in tutto il mondo. Gli spagnoli dicevano: “Prohibido prohibire”. Gli inglesi e gli americani dicevano “it is forbidden to forbid”. Questo slogan invece era sommamente utopistico. Presumeva una completa rivoluzione: dei cervelli e delle anime. E probabilmente quella rivoluzione era impossibile. Lo slogan vietato vietare è il più radicale degli slogan mai gridato dalla sinistra politica. Perché mette in disussione tutto, sinistra compresa. Soprattutto mette in discussione il potere, le sue forme e il suo stesso diritto di esistere. Non c’è niente di più sovversivo al mondo. E niente di più tenuto. Mettere in discussione il potere, vietare i divieti, vuol dire costringere tutti a “strupparsi”, a pensare, a non accoccolarsi sulla potenza di chi comanda. Impresa quasi impossibile.
E così non c’è niente da stupirsi se la sinistra italiana, compatta, in queste ore ha chiesto di vietare la Festa nazionale di Casapound. Ed è felice di averlo ottenuto, questo divieto. Si sente più forte, più viva: chi vieta è vivo, esiste.
Le cose sono andate così. CasaPound (che è l’organizzazione che raccoglie i cosiddetti fascisti del terzo millennio) aveva deciso di organizzare la sua Festa nazionale a Milano, per questi giorni di metà settembre. Poi però la sinistra milanese e l’Anpi hanno chiesto al Comune, al prefetto e alla questura di vietare la manifestazione di CasaPound perché Milano è una città antifascista. Nonostante la scombiccheratezza della richiesta, la richiesta è passata. CasaPound ha deciso allora di ritirarsi in un paesino della cintura milanese che si chiama Castano Primo. Qui il sindaco prima ha dato l’autorizzazione, poi all’ultimo momento l’ha ritritata. A questo punto la tensione è salita a mille perché CasaPound ha deciso di tenere lo stesso la sua festa visto che ormai è troppo tardi per programmare un nuovo spostamento.
Che senso ha, nel 2015, vietare una festa politica, sia pure di una organizzazione che ha parecchio a che fare con le nostalgie fasciste? Ovviamente non ha nessun senso, salvo quello di riaffermare la forza e la prepotenza dello Stato. E’ chiaro che nessuno pensa neppure lontanamente che oggi in Italia ci sia il rischio di un golpe guidato dai fascisti (forse dei colpi di mano istituzionali ce ne sono stati, ma i fascisti non c’entravano niente), e dunque il gusto è solo quello di riaffermare il diritto a reprimere e a proibire.
Quello che colpisce è che questa onda reazionaria e proibizionista sia cavalcata dalla sinistra, quella moderata, quella moderatissima, quella più radicale o estremista, i centro sociali: tutti. Come si spiega? In un modo solo: che ormai la politica è diventata solo un gioco di “gruppi”, di piccole caste, di ceti politici. Con nessun legame più con le idee, con il pensiero, coi principi. E l’antifascismo, da religione della libertà come la concepiva Calamandrei, è diventa semplicemente una etichetta che serve a farsi riconoscere, senza più nessun valore libertario e antirepressivo. Come la maglietta della Roma, o dell’Atalanta.
Ieri ho provato a esprimere su Twitter questo concetto, in fondo così banale. E cioè l’idea che proibire è una attività fascista (senza per questo voler insultare nessuno, semplicemente per dare un po’ grossolanamente l’idea della differenza tra chi concepisce la politica come divieto e chi come libertà). Sono stato sommerso dalle proteste e dagli insulti. Per esempio, Paolo Ferrero, che è il segretario di Rifondazione comunista, mi ha risposto rovesciando la mia frase. Ha scritto: “Proibire la festa di CasaPound è una tipica iniziativa antifascista”. Confermando una visione poliziesca dell’antifascismo e della lotta politica che lascia pochissime speranze. E dimostra anche una buona dose di autolesionismo. Chiunque capisce che se oggi si leva la parola ai fascisti, sarà facilissimo, domani, toglierla ai comunisti o a chiunque altro, con la scusa che la loro è una ideologia non democratica. Non fece così Mario Scelba, il più reazionario dei ministri dell’Interno di tutta la storia della Repubblica? Non è che bisogna essere dei geni per capire queste cose.
Temo che il problema sia più serio: che quando si ha in mente che la libertà è una complicazione da limitare, specie da parte di chi fa politica, poi è logico che l’unica attività che si ritiene degna è quella di vietare: la droga, il sesso, l’indipendenza, la piccola illegalità, e poi magari l’alcool, l’aborto, l’omosessualità. E naturalmente il fascismo, e poi il comunismo e tutto i resto. Altro che vietato vietare. Lo slogan che ha vinto è un altro: veto, ergo sum!
http://ilgarantista.it/2015/09/12/vietata-la-festa-di-casapound-ma-che-antifascismo-e-questo/