1.Se “tutti i cittadini…che hanno raggiunto la maggiore età” “sono elettori” (art 48.1 Costituzione), cioè designatori dei loro rappresentanti nelle sedi della attività politica (nazionale e locale), la limitazione dell’accesso a quel compito dalle “soglie di sbarramento” (del primo “consultellum”, per la elezione di deputati e senatori dopo la sentenza n.1 2014 della Consulta, e del secondo, per la elezione dei deputati dopo la sentenza 25 gennaio 2017 della medesima) è costituzionalmente illegittima.
Ciò peraltro è ribadito dalla definizione del “voto” come “libero” (art 48.2 Cost.)
E se “tutti ….. sono elettori” , se hanno cioè eguale forza di designazione della rappresentanza politica, l’assegnazione ai loro “voti” di forze diseguali, dando “premio di maggioranza” ad uni e non ad altri, è costituzionalmente illegittima.
Ciò peraltro è ribadito dalla definizione del “voto” come “eguale” (art 48.2 Cost.), come efficiente al pari di ogni altro nella formazione della rappresentanza politica.
E se “sono elettori” (dal latino eligere : scegliere) nel (più specifico) senso di sceglitori degli attori politici, la menomazione della prerogativa da (eterogenetiche) pluricandidature “bloccate” di “capolista”, aventi inoltre facoltà (ma dal 26 gennaio scorso sostituita da “sorteggio”) di opzione del Collegio della elezione (o da quant’altro le impedisse di preferire tra rappresentanti), è costituzionalmente illegittima.
Ciò peraltro è ribadito dalla definizione del “voto” come “personale” (art 48.2 cost.), per la quale, esso non solo e’ individuale ma e’ anche discrezionale, pienamente opzionale nella formazione della rappresentanza politica (perciò autogenetica).
Conferma detta significazione, della personalità del voto, l’ulteriore definizione per la quale esso è ” diretto” (art 56.1, 58,1 Cost): se tale, non potrebbe non essere personale, e non raggiungere il rappresentante (non essere interpersonale).
E in quanto tale, a massimo potenziamento della facoltà di scelta, non potrebbe non essere “segreto” (art 48.2 Cost).
D’altro canto, se deputati e senatori sono eletti “a suffragio universale” (art 56.1, 58,1 Cost), quanto (vd sopra) escludesse o menomasse o accidentasse la universalità della formazione (e della sintetizzazione) della rappresentanza politica (salvo quel che è previsto in art 48.3 Cost, per cui non “sono elettori” coloro che abbiano minore età e coloro il cui diritto di voto sia stato “limitato…. per incapacità civile per effetto di sentenza penale irrevocabile e nei casi di indegnità morale indicati dalla legge”), riporterebbe, regressivamente, al suffragio elettorale particolare.
Peraltro, e lateralmente, la “governabilità” della – e nella- “universalità, non potrebbe non essere sintetizzata (a sua volta) che da quella rappresentanza politica. E l’eventuale travaglio della sintesi sarebbe non altro che condizione, necessaria, della governabilità dovuta, quella che universalizzasse il proprio oggetto ( se ne rinviene il senso nella “imparzialità” dell’attività di governo, voluta dall’art 97 Cost, contro ogni parzialità, particolarismo).
Ora
2. I termini della narrazione costituzionale della democrazia elettorale, su esposti, non paiono controvertibili, anzi sono “naturalmente” (e già semiologicamente) univoci.
– Tanto da rendere smaccatamente falsa la comune opinione per la quale, essa, non sarebbe stata tracciata dalla Costituzione (peraltro, se non lo fosse stata, sarebbe impensabile qualunque giudizio di legittimità costituzionale delle leggi elettorali… ), non ne sarebbero stati delineati i principii. E per la quale, dunque, essa sarebbe formulabile discrezionalmente dal legislatore ordinario: si veda, nei fatti, la proliferazione di ordigni elettorali di varia specie, dal Mattarellum al Porcellum all’Italicum, tutti variamente digredienti, da quella narrazione, esigente, come si è visto, una formula elettorale totalizzante rappresentanza e rappresentazione sociopolitiche (date le quali, se eventualmente plurime, solo la distribuzione completamente proporzionale fra esse le rifletterebbe).
– E tanto da rendere la legge ordinaria, che la formulasse, incostituzionale di per sé.
Già proceduralmente, cioè, poiché attuerebbe revisione della costituzione fuori del procedimento in art 138 Cost (adozione da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi ed approvazione a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione, salvo sia richiesto referendum popolare, tuttavia escluso se la approvazione sia avvenuta in seconda votazione da ciascuna della Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti).
E poi meritualmente. Dove è facile cogliere l’obbrobriosità giuridicopolitica dei predetti ordigni (uno d’essi, d’altronde, fu definito “una porcata” dal suo caldeggiatore e coautore; ed è nota l’origine dell’Italicum, per una puntuale missione di contrapposizione al (primo) Consultellum, di un Governo giuridicamente facinoroso (perché, assistito da una maggioranza prodottasi incostituzionalmente, secondo per quella stessa sentenza, dedito sediziosamente al ripristino, variato il nome in Italicum, del Porcellum. Fino all’abuso legislativo della imposizione della sua approvazione “sulla fiducia”…. ).
3. Per cui non potrebbe non essere un mistero come e dove la Corte costituzionale che “giudica sulle controversie elative alla legittimità costituzionale delle leggi” (art 134 Cost) abbia rinvenuto, nell’ordito costituzionale della democrazia elettorale, le “soglie di sbarramento”, “il premio di maggioranza”, le rispettive misure, le pluricandidature bloccate e il loro sorteggio, l’unicità del “turno” elettorale, etc..
Ed essendo quanto “rinvenuto” pura (benché imperiale) congettura, la Corte che lo ha ritenuto ha riscritto la Costituzione. Non diversamente dal legislatore elettorale portato al suo giudizio (a conferma, oltre quanto sopra, basti andare a vedere l’alterità e la contrarietà, la contraddittorietà, dei dati costituzionali presupposti dai due “Consultellum”: si pensi, ad esempio, al “premio di maggioranza”, espulso dal primo, non dal secondo…).
Ed è inoltre un mistero come, affetta da incostituzionalità una parte del tutto della legge elettorale, contenendo, le sentenze di accoglimento (delle eccezioni di illegittimità costituzionale) della Corte, pronunce di annullamento, essa abbia potuto isolare la parte dal tutto, se non riscrivendo questo, e con questo la Costituzione: annullando tutto, peraltro, il Consultellum uscito dalla sentenza n.1 2014 regolante oggi l’elezione del Senato sarebbe stato automaticamente esteso alla Camera (di fatti, illegittimava il Porcelllum anche per la elezione della Camera).
Ma qualcosa, del mistero, potrebbe essere svelata da opposte determinazioni della Corte nelle due sentenze: della prima sospese l’efficacia (di annullamento degli ulteriori effetti, da allora in avanti, della applicazione del Porcellum), “per il principio di continuità della Stato” (del tutto fantomatico giuridicamente, in sè e comunque in specie); della seconda dispose l’efficacia (… “è suscettibile di immediata applicazione”).
Svelata dalle due determinazioni, dicevasi, se poste a confronto con l’art 136.1 Cost,. per il quale “Quando la Corte dichiara la illegittimità costituzionale di una norma di legge…la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”.
Dove la prima determinazione va in pezzi, la seconda pare supporre nella Corte la facoltà della prima….