Dal 1930-31 (anno di nascita del codice penale vigente) al febbraio 2006 (uno degli anni della legislazione berlusconiana), la difesa penale dell’esercizio delle attribuzioni o prerogative conferite dalla legge ai Capi dello Stato (il Refino alPresidente della Repubblica dinovembre 1947), era affidata all’art 289 del codice che (delitto contro la personalità interna dello Stato, Libro I Titolo I Capo II) incriminava qualunque fatto diretto ad impedire in tutto o in parte anche temporaneamente l’esercizio d’esse (primo comma) e lo puniva con la reclusione non inferiore a dieci anni. L’articolo incriminava inoltre il “fatto diretto soltanto a turbare quell’esercizio, e lo puniva con la reclusione da uno a cinque anni.
La disposizione quindi incriminava e puniva non solo la possibilità, per il fatto, dell’impedimento ma anche quella del (solo) turbamento, dell’esercizio suddetto (e già la sola possibilità, dell’uno e dell’altro). E nella logica penalistica, tale estensione, incriminatoria e punitoria, corrisponde a quella del valore della persona (o della cosa) che essa concerna, a quella del valore giuridico protetto (il presidente della repubblica quale massima istituzione politica, in questo caso).
In tale quadro, esemplificando a caso con la attualità, le emissioni verbali dell’onorevole Di Battista e del suo genitore Vittorio (noto “littorio” a quanto si dice), all’indirizzo del presidente della repubblica (prima che questi rifiutasse di nominare l’aspirante ministro Savona, nell’esercizio del potere di farlo, ovviamente comprendente quello di non farlo: altrimenti la sua sarebbe una posizione giuridica di dovere, non di potere…) per le quali:
“Il Presidente Mattarella ha prestato giuramento di fedeltà alla Repubblica ovvero ai cittadini ai quali appartiene la sovranità. Per settimane, in una fase delicatissima dal punto di vista istituzionale, ha ricordato ai partiti politici le loro responsabilità. Per giorni ha insistito sull’urgenza di formare un governo nella pienezza delle sue funzioni. Ebbene, finalmente, una maggioranza si è formata, una maggioranza che piaccia o non piaccia al Presidente Mattarella o al suo più stretto consigliere, rappresenta la maggior parte degli italiani. Sono gli italiani ad avere diritto ad un governo forte, un governo capace di intervenire, se necessario con la dovuta durezza, per ristabilire giustizia sociale. Un governo capace soprattutto di ristabilire un principio sacrosanto in democrazia: il primato della politica sulla finanza. Mi rendo conto che ristabilire questo principio possa far paura a qualcuno ma non dovrebbe intimorire chi ha l’onore di rappresentare l’unità nazionale. Il Presidente della Repubblica non è un notaio delle forze politiche ma neppure l’avvocato difensore di chi si oppone al cambiamento. Anche perché si tratterebbe di una causa persa, meglio non difenderla. P.S. Invito tutti i cittadini a farsi sentire. Usiamo la rete, facciamo foto, video. È in gioco il futuro del Paese #VoglioIlGovernoDelCambiamento” (Alessandro Di Battista).
” I dolori di mister allegria. E’ il papà di tutti noi. E’ quello che si preoccupa di varare un governo. E’ quello che ha avallato la legge elettorale che impedisce di varare un governo. Poveretto, quanto lo capisco. In più ci si mettono le fianate sul cv di Giuseppe Conte, le perdite in Borsa e la irresistibile ascesa dello spread. Poveretto, quanto lo capisco. Lo capisco e per questo, mi permetto di dargli un consiglio, un consiglio a costo zero”. “Quando il Popolo di Parigi assaltò e distrusse quel gran palazzone, simbolo della perfidia del potere, rimasero gli enormi cumuli di macerie che, vendute successivamente, arricchirono un mastro di provincia. Ecco, il Quirinale è più di una Bastiglia, ha quadri, arazzi, tappeti e statue, se il popolo incazzato dovesse assaltarlo, altro che mattoni. Arricchirebbe di democrazia questo povero paese e ridarebbe fiato alle finanze stremate.Forza, mister Allegria, fai il tuo dovere e non avrai seccature”.(Di Battista Vittorio: oggi per ciò accusato di reato ex articolo 278 del codice, che punisce «le offese al prestigio e all’onore del capo dello Stato», cioè quanto offenda solo la persona, non la istituzione, del presidente della repubblica).
Siffatte emissioni, se non fossero state dirette ad impedire l’esercizio suddetto, certo sarebbero state dirette a turbarlo. Quindi, avrebbero attaccato pienamente la difesa penale del presidente della repubblica. Con ovvie implicazioni.
Ma accade che nel mese di febbraio dell’anno 2006 (cennato), quel delitto subisce modifiche. Al primo comma il “fatto diretto ad impedire”è sostituito da “atti violenti diretti ad impedire” (cioè, non un “fatto”ma un “atto”anzi più “atti”, e non atti qualunque ma “atti violenti”). La punizione della reclusione non inferiore a dieci anni scende alla reclusione da uno a cinque anni. Ed il secondo comma, che incriminava e puniva anche il fatto diretto soltanto a turbare è abolito.
Cioè la originaria estensione incriminatoria e punitoria della disposizione drasticamente ridotta, resta delitto solo la possibilità, per atti violenti, di impedimento dell’esercizio di cui si è detto. Corrispondentemente, per la logica penalistica su indicata, è drasticamente ridotto il valore giuridico della istituzione difesa.
A tale stregua, chi ipotizzasse che quella istituzione – di un sistema istituzionale a parlamento bicamerale a governo parlamentare munito di presidenza e a presidenza della repubblica (pochi altri sistemi di democrazia borghese conobbero tale articolazione, frutto della cultura giuridica italiana allora fra le prime al mondo) sorto dall’abbattimento del sistema precedente (fascista) – potrebbe essere stata oggetto, a febbraio 2006, dell’attacco di forze politiche deliberatamente (eprospetticamente) contrarie ad esso, darebbe avvio ad una discussione plausibile.
Che non potrebbe ignorare il fatto che, la modificazione legislativa, fu attuata sotto il potere governativo e parlamentare berlusconiano. E che fu spinta dalla volontà di rendere impunibili le “intemperanze protestatarie” dell’allora Carroccio alias Lega Nord alias Lega (allora sotto processo per sovversione).
Impunibili per il passato ed eventualmente per il futuro: la contrazione del raggio della legge penale in materia ha liberato attività politiche antiistituzionali. Come una licenza di facinorosità politica minuziosamente differenziata da quella incriminata, concordata dalle forze del potere parlamentare e governativo del tempo.
E oggi, ovviamente, esercitabile anche da altre:
a parte la questione, estranea al discorso, se le emissioni vocali dell’onorevole Di Battista e del genitore sfuggano alla pur larga maglia incriminatrice della attuale legge (“Si tratta di un’intimidazione gravissima e senza precedenti…”, ha diffuso ad esempio il Partito democratico), davanti così provvidenziale licenza, incuriosisce la effettiva ragione del rigetto, dal loro Movimento, del nome in sé di Berlusconi nell’avanzata verso il governo.
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