7 – 01 – 2010

“Il giovane ha prima approntato lo scorsoio, ha fissato la fune alla parte orizzontale del cartello e dopo essersi issato e aver infilato la testa nel nodo, si è lasciato cadere a peso morto”; questo hanno elucubrato,scrutando il cadavere pendente dal palo stradale, saccentemente, i carabinieri che sette mesi prima avevano ficcato in carcere, con l’approvazione della magistratura, per null’altro che un fatto ridicolo per chiunque, eccetto essi, il ventitreenne impiccatosi, per non avere potuto darsi conto di tanto sopruso….

Un altro si era lasciato sopraffare precocemente da altrettanto sopruso, prima di lasciare il carcere, appendendo il collo ad un lenzuolo allacciato alle sbarre attraversanti la finestra di un cesso, ventunesimo suicida in otto anni, (quasi) tre all’anno, all’interno di  un edificio che guarda il mare lucente subito sotto un pittoresco pendio della città cagliaritana, uno solo degli innumeri edifici della pubblica amministrazione dello stato italiano, nel quale quindi,  in rapporto al tempo ed allo spazio, sono state fatte più morti che in un conflitto bellico interno di media intensità…

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