Erregi, imprenditore con commesse e appalti diffusi nella Penisola, nell’anno 2003 è indotto da R. Crocetta, in Sicilia, a denunciare per estorsione alcuni “mafiosi”.
Processati, quelli si difendono ammettendo di avere preso denaro, tuttavia datogli da Erregi quale loro finanziatore!
Nato da ciò altro processo, Erregi è accusato di “concorso esterno in associazione di tipo mafioso” ( un reato inesistente nella legge e nella scienza penale, escogitato da una prassi giudiziaria intenta ad allargare le maglie giuridiche della “associazione”, verso sempre più pescose retate, a dispetto della attribuzione della materia, in esclusiva, al Parlamento). Il processo ai “mafiosi” si conclude in Cassazione, ove è attestato che Erregi era stato vittima, non complice, d’essi.
E il processo a suo carico lo assolve. Ma il pubblico ministero impugna la sentenza chiedendo condanna (per la cronaca, è trascorsa un quindicina d’anni dalla denuncia di Erregi…).
Concomitantemente, un prefetto della Sicilia, sulla scorta della denuncia di complicità ritorta a Erregi dai “mafiosi” e screditata da Cassazione (!), e di qualche altro cicaleccio, emette una “informazione interdittiva antimafia”.
Al seguito della quale (per legge “antimafiosa” può essere!), tutti gli appalti ovunque affidatigli gli sono revocati.
Chiede sospensione d’urgenza della “interdittiva” ad un Tar siciliano. Quello se ne lava le mani e rinvia ogni decisione al (ben lontano) “giudizio di merito”.
Erregi, disperato, cerca un rimedio. Immagina di intestare le imprese ai figli.
L’avvocato glie lo sconsiglia, perché l’interdittiva le avrebbe inseguite.
Cade in depressione, alla dissoluzione dell’opera della vita, propria dei familiari dei collaboratori, dei lavoratori dei loro familiari, alla umiliazione del contesto umano generativo.
Disperato, un mattino, solitario e sinistro, infilatosi in un recesso di un suo cantiere, estrae un’arma e si spara. ————-
Di “interdittiva antimafia” sono cosparse e fumano le macerie delle iniziative economiche private, nell’isola di Sicilia, nel tallone della Penisola, in altre parti di questa.
Essa è lo strumento che ha ridotto e costretto a “concessione pubblica”, statalisticamente, l’attività economica privata!
Nelle mani dei prefetti, la discrezionalità del suo uso è talmente estesa, accoglitiva per lo più di “dicerie” e “sentito dire” (le più adatte, d’altronde, e riportare l’ ”odore di mafia”!); e comunque unilaterale, chiusa alla difesa in contraddittorio dell’interdicendo.
E’ talmente dannosa individualmente, socialmente, che il Tar di Bari, indignato, la ha spedita, da ultimo, alla Corte di Giustizia UE.
Perché dica se il suo regime, incontraddicibilmente assoggettatore delle economie private, sia di tipo europeo o asiatico….
pietro diaz